Una civiltà che brucia

Ogni giorno, quando apro un giornale o accedo a internet o accendo la TV, leggo sempre le stesse storie: la disoccupazione in aumento (o in leggerissimo calo, salvo smentite del mese dopo), gente che si ammazza a vicenda spesso per motivi futili, liti familiari sfociate nel sangue, masse di gente disperata che migra (forzosamente) verso il nostro martoriato Paese accanto a masse di giovani (e persino pensionati) che invece emigrano dall’Italia verso Paesi più ricchi, ospitali ed economicamente più accessibili oltre che – ogni estate – roghi e incendi che divampano in tutta Italia, particolarmente al Sud.

I roghi dolosi

In queste ore, per esempio, stiamo assistendo alla distruzione programmata del Vesuvio e si dice che siano stati usati anche dei gatti bruciati vivi per estendere il fuoco. Il tutto, chiaramente, per motivi economici. Smettiamola di pensare che la gran parte degli incendi sia dovuta al fantomatico mozzicone di sigaretta. No, la maggior parte degli incendi è di origine dolosa. Perché? Perché molte zone sono inedificabili, a vincolo paesaggistico o idrogeologico o semplicemente fondi a destinazione agricola. E allora, anziché attendere una lottizzazione (che probabilmente non avverrà mai) è più facile appicciare un fuoco e distruggere la vegetazione. C’è il vincolo di inedificabilità? Chi se ne frega, tanto in Italia nessuno controlla e un amico al Comune o in Regione si trova sempre.

Già, perché la legge 353/2000 non consente destinazioni d’uso diverse da quelle precedenti l’incendio per almeno 15 anni dal rogo e nel 10 anni successivi sono vietate, nelle zone incendiate, costruzioni di qualsiasi tipo. La legge è stata fatta per evitare abusi edilizi. Sì, ma chi controlla? Il Corpo Forestale dello Stato, che ormai è stato smantellato e inglobato nell’Arma dei Carabinieri. Quindi basta aspettare che si calmino le acque e presentare il progetto in Comune. Tanto, male che vada, ci sono sempre le deroghe, le sanatorie e i condoni, per cui tanto si incendia, si attende qualche anno e – puff! – compaiono le prime palazzine o i centri commerciali nei terreni incendiati qualche anno prima.

La crisi morale, demografica ed economica

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La storia ce lo insegna, basta saperla leggere. Ogni civiltà ha un suo epilogo più o meno lungo. Noi siamo arrivati alla fine della nostra civiltà (oddio, rabbrividisco nel chiamarla così). I fatti di sangue cruenti e inspiegabili, i genitori ammazzati dai figli per motivi futili, il tizio che insegue e investe due motociclisti, ammazzandone uno, la ragazzina che accoltella la madre perché scoperta a fumare una canna o i tizi che ammazzano l’amico così per scherzo durante un festino a base di coca e alcool, casi del genere sono inspiegabili se presi così, singolarmente, ma hanno una spiegazione storica.

Sì, lo sappiamo tutti, abbiamo perso i valori, la società è diventata liquida (usando le parole del compianto Bauman) e l’etica capitalistica ha sconfitto l’umanesimo, l’illuminismo, il razionalismo e persino l’idea di Dio sostituendoli con il padre denaro e i figli status simbol, nonché con il nichilismo morale ed etico. Dio è morto, ma è morta anche la ragione, la conoscenza, persino la filosofia morale di Kantiana memoria. L’ideale romantico e il concetto di identità di ottocentesca memoria hanno soppiantato l’uso della ragione. I romantici, che in un certo modo hanno dato via al nazionalismo e al successivo totalitarismo del Novecento, hanno introdotto il concetto di “intuizione”, di “spirito” e persino di “genio”, concetto oggi abusato in ogni contesto, persino quando un idiota fa una cazzata e la posta sui social. Sì, il genio, così come lo intendiamo oggi, non è il “genio” rinascimentale come Leonardo o il “genio” concepito dagli illuministi, ossia quell’individuo che usa la ragione e le conoscenze più alte per creare, ma è chi intuisce usando il senso e il sentimento, ossia una sfera interiore che non può essere misurata in termini oggettivi. E a proposito di individuo, è proprio qui che si sviluppa in modo deforme e difforme rispetto all’Umanesimo il concetto dell’individualismo: nel rapporto tra uomo e Natura, tra uomo e Storia, tra uomo e Società, ogni individuo è diverso perché ogni sentimento, ogni istinto, ogni stato d’animo sono diversi. Ciò che accomuna gli individui non è più la ragione e la conoscenza (che si possono misurare), ma è il sentimento, che però è diverso da persona a persona. Ecco che nasce l’esaltazione della personalità, la rivalutazione dell’Eroe (secondo una distorta rilettura dei miti) e quindi, di conseguenza, lo sviluppo degli istinti più bassi guidati e gestiti dall’Eroe di turno (guardacaso un leader carismatico).

Oggi il sistema capitalistico sfrutta la concezione romantica dell’individualismo per vendere e il sistema politico è imperniato sulla stimolazione degli istinti e la creazione costante di leader in cui riconoscersi e in cui credere ciecamente. Chiunque di noi ha avuto piena fiducia in un personaggio carismatico (che prontamente ha poi deluso le nostre aspettative): un sindaco, un presidente di Regione o anche semplicemente un personaggio noto. E’ l’individuo che ricerca costantemente una figura in cui riconoscersi e sperare, una società coesa e istruita non lo farebbe mai.

Ecco perché la destrutturazione del sistema scolastico, la nascita della conoscenza in pillole ormai strutturata su internet e la diffusione di contenuti tesi a rimbambire le masse sono un’arma contro lo sviluppo della ragione.

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Una scena del film The Island

Un po’ come nel film “The Island”, dove gli individui creati in provetta e pezzi di ricambio di gente ricca e famosa, sono appositamente tenuti nell’ignoranza, con il livello di istruzione di un bambino di terza elementare, proprio perché non devono conoscere, quindi ribellarsi contro il sistema che li sfrutta e li usa come pezzi di ricambio e quindi essere liberi. Il film è a lieto fine: la gente scopre la verità e diventa consapevole del proprio ruolo. Nella realtà, invece, siamo lontani da questa consapevolezza e ci stupiamo di ogni fatto di cronaca inspiegabile, ma che invece rappresenta il campanello d’allarme di una società in declino. Le migrazioni forzose e di massa, le guerre, l’economia stagnante, i fatti di sangue, persino la bassa natalità sono gli elementi che ci segnalano la morte della nostra società.

Noi siamo la curva calante di un percorso storico ormai alla fine. Proprio come l’Impero Romano d’Occidente.

La caduta dell’Impero Romano e gli elementi in comune con la nostra civiltà

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Già, l’Impero Romano cadde perché era giunto all’apice della sua grandezza e le spinte indipendentiste da parte della Periferia dell’Impero erano molte. Secondo molti storiografi l’Impero cadde soprattutto per questi motivi:

  • enorme calo demografico (dovuto a guerre, carestie e alle malattie);
  • crisi economico-produttiva che aveva provocato un’alta inflazione e il crollo dei commerci;
  • enorme migrazione dei romani di città (cioè dei cittadini dell’Impero) sia a causa delle guerre, ma soprattutto della povertà;
  • ingiustizia sociale, che vedeva i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, contribuendo alla perdita di coesione sociale;
  • corruzione politica, eccessivo peso fiscale e mancanza di fiducia nel potere centrale di Roma.

Non so voi, ma a me sembra che ci siano gli stessi identici elementi che caratterizzano la nostra società: calo demografico e calo delle nascite, crisi economica e produttiva, con aziende che chiudono o delocalizzano gli stabilimenti all’Estero e piccole attività commerciali che falliscono; “fuga dei cervelli” e dei pensionati all’Estero, i primi per cercare opportunità lavorative e i secondi per cercare di campare con la misera pensione italiana; ingiustizia sociale netta ed evidente, con la scomparsa della classe media e l’acuirsi della forbice sociale tra ricchi e poveri; corruzione politica sia centrale che periferica (ogni giorno sentiamo di politici, amministratori o imprenditori arrestati per corruzione), eccessiva pressione fiscale e scarsa fiducia nella politica da parte degli italiani, tanto che oggi si parla spesso di “antipolitica”.

Le migrazioni incontrollate

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So che apparirò antipatico e impopolare nel parlare di questo argomento, ma le migrazioni di massa che si stanno verificando negli ultimi anni non sono certo paragonabili alle invasioni barbariche della caduta dell’Impero Romano, ma hanno elementi in comune. Anzitutto i numeri eccessivi, che non permettono il lento e graduale processo di integrazione, poi la gestione incontrollata e spesso approssimativa, che li costringe a vivere per lungo tempo in centri di accoglienza simili a carceri, in cui si acuisce lo scontro sociale e si formano i primi germogli di intolleranza, poi le città, che spesso vengono “suddivise” di fatto in quartieri auto-ghettizzati in cui i processi d’integrazione sono difficili se non addirittura osteggiati. Per non parlare poi dello sfruttamento del lavoro nero e schiavizzato, oltre a quello della prostituzione, che non rendono facile il processo d’integrazione, anzi, contribuiscono allo scollamento e all’odio sociale. Dati i numeri elevati, le crisi che attanagliano l’Occidente e l’incapacità effettiva di creare una società multietnica e pacifista, arrivo a pensare che si tratti di invasione. E attenzione, non di invasione volontaria da parte dei migranti. Non andiamo a guardare le singole storie, altrimenti perdiamo di vista il macro-processo. No, parlo di invasione di fatto, a tratti spontanea e a tratti forzata, che porterà presto alla disgregazione sociale e all’acuirsi dell’odio razziale, un odio che ci portiamo dietro dal romanticismo e dal nazionalismo e che è figlio della cultura individualista di stampo ottocentesco.

Dalla storia, come sappiamo, non abbiamo imparato niente. Né dal crollo dell’Impero romano né dalla formazione dei totalitarismi. Niente.

Tutto sommato, però, va bene così. Ogni civiltà nasce, cresce e muore, a volte nel peggiore dei modi. L’unico mio cruccio è che né io né i miei figli e forse nemmeno i figli dei miei figli vedranno il sorgere della nuova civiltà. Peccato. Spero solo nella prossima vita di rinascere gatto. Quello sì che è il vero eroe e simbolo dei nostri tempi.

4 commenti su “Una civiltà che brucia”

  1. Post azzeccatissimo (scusa il romano ma è una parola ben descrittiva), condivido tutto, eccetto nascere gatto, vorrei nascere aquila è espellere i miei escrementi su gran parte dell’umanità, me compresa ovvio, e sul titolo, per me questa on è civiltà, ma massa preistorixa, con tutto il rispetto per i preisorici che sono più che giustificati. Mi fermo qui perchè potrei diventaree molto antipatica, a partire dai gatti (e ti posso garantire anche topi) bruciati ai migranti.
    Comunque grazie per questo blog intelligente.

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