Madonna, la pizzica e il servilismo

Il 15 agosto Madonna ha compiuto 59 anni e ha deciso di trascorrere le vacanze e festeggiare il suo compleanno nello splendido scenario di Borgo Egnazia a Fasano, dove già c’era stata l’anno scorso e dove, a quanto pare, molti vip internazionali hanno fatto tappa in questi anni. Per il suo compleanno ha selezionato una dozzina di suonatori di tamburello al fine di intrattenere gli ospiti e festeggiare in modo tradizionale, ballando la pizzica-pizzica. E’ inutile dire che il video della sua performance ha fatto il giro del mondo e ha ottenuto numerosi plausi e anche qualche fischio.

Già, sono tanti quelli che l’hanno osannata (del resto è la regina mondiale del pop), ma anche molti l’hanno criticata. Perché? Perché non sa ballare la pizzica. E sti cazzi no? E’ ovvio che non la sa ballare e che – per festeggiare il suo compleanno – ha improvvisato qualche passo e si è lasciata andare in modo spontaneo.

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Il punto, però, è un altro.

Madonna è una star internazionale e su questo non ci piove. Per lei hanno persino aperto la scalinata che conduce al campanile del Duomo di Lecce, chiusa da decenni per motivi di sicurezza, ma si sa che la notorietà ovvia a qualsiasi ordinanza di sicurezza, con ciò dimostrando che gli italiani – e in particolare i salentini – possono trascendere qualsiasi motivo pur di accontentare lo straniero, per di più se famoso.

Ma con la storia della pizzica suonata a Fasano, in occasione del compleanno della star, si è dimostrato tutto il servilismo e il lecchinaggio tipico di tanti abitanti del Sud del Sud d’Italia che, con un colpo di lingua, hanno affossato qualsiasi tentativo (vano, finora) di riattribuire alla musica popolare quella dignità perduta con la scomparsa della civiltà contadina e ripresa (a fatica) negli anni ’70 grazie a personaggi come Giovanna Marini o Rina Durante che hanno faticosamente (va ribadito) ripreso la musica popolare e riadattata in chiave anti-sistema. Gli sforzi di tanti intellettuali nostrani o stranieri di dare dignità alla musica popolare salentina si sono sciolti come neve al sole, in questi anni, grazie alla mercificazione, a buon prezzo, della pizzica (accostata alla taranta, come se fossero due generi, e nemmeno i suonatori sanno che la taranta non è un genere, ma solo un ragno. Epperbacco, studiate però!), svenduta in tutta Italia (e anche fuori) grazie a gruppi musicali improvvisati, corsi di dubbio gusto, passi di ballo inventati, musiche arrangiate come fossero cloni della Notte della Taranta e una generale disinformazione sulle radici di tali musiche e balli. Insomma, il mercato chiama e il salentino, improvvisato suonatore, si svende. Quanto chiede un gruppo? 400 euro? E io ne chiedo 300 pur di suonare alla sagra del melone di Roccaforzata. Questo è il quadro in cui opera il suonatore salentino medio.

Quindi, cosa c’entra tutto ciò con Madonna? I salentini si svendono e svendono la propria cultura, ma che c’entra Madonna?

Madonna (o chi per lei) ha fatto ciò che fanno tutti gli organizzatori di eventi: chiamare un gruppo per suonare. Non so a quanto ammonti il rimborso spese per il carburante (dipende se i mezzi con cui viaggiavano i suonatori andavano a gasolio, benzina o GPL/metano), ma simbolicamente quei quattro suonatori non solo si sono svenduti per un rimborso spese (e per un “io c’ero” da postare sui social, con il petto gonfio d’orgoglio), ma hanno tradito le proprie origini.

Lasciate che vi racconti (brevemente) una storia. La pizzica, in Salento, in passato veniva suonata di rado e solo in occasioni particolari: il santo patrono, qualche matrimonio o festa privata, e poi in due – importanti – feste: San Paolo a Galatina e San Rocco a Torrepaduli. La prima si festeggia il 28 e 29 giugno e suonare lì, accanto alla cappella di San Paolo, era un modo per mantenere vivo il ricordo del tarantismo e della sofferenza/guarigione che San Paolo provocava e creava nelle tarantate. La seconda si svolge il 15 agosto a Torrepaduli, frazione di Ruffano ed è forse la festa più importante del Salento tra i suonatori di musica popolare, perché ogni anno – in modo orizzontale e senza palchi – si ripropone la pizzica e la pizzica-scherma (un ballo tra uomini, retaggio di antichi balli/sfide rom), insomma, è la più importante testimonianza viva della musica popolare salentina, tant’è che per anni è stata non solo il ritrovo ma anche la palestra viva di tanti suonatori che oggi si esibiscono sui palchi. Se oggi la pizzica è viva lo dobbiamo (quasi) esclusivamente a ritrovi come questo.

E invece che ti fa questa dozzina di suonatori tradizionali? Snobba la festa di San Rocco per andare a suonare – vestiti come bamboccioni (con abiti che non c’entrano assolutamente nulla con la tradizione…) – al compleanno di Madonna. Dietro rimborso spese, s’intende.

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I bamboccioni vestiti in modo tradizionale. Ma di tradizione non c’è ombra.

Se questa gente avesse un orgoglio direbbe a Madonna: vuoi che ti suoniamo la pizzica? Vuoi vedere la tradizione viva? Vuoi ballarla? Fanculo, vieni tu da noi, vieni a San Rocco, vieni in qualsiasi sagra, vieni qui ad ascoltarla, noi non ci svendiamo né ci spostiamo. E invece questa gente ha snobbato i propri padri, il tessuto vivo che li ha resi suonatori, la festa simbolo della tradizione pulsante per andare in un contesto avulso ed eseguire – come qualsiasi altra cover band – qualche canto morto, privo di significato, banale e inutile perché privo del suo substrato culturale che gli dà vita. Con ciò non voglio dire che la musica popolare non debba oltrepassare i confini territoriali, sia chiaro, ma che qualsiasi operazione di de-radicazione dev’essere ovviamente forzata (è ovvio che non si può pretendere che il mondo venga in Salento, per questo si porta la musica fuori) e accompagnata dalla consapevolezza di ciò che si esegue e che proporre non vuol dire svendersi o essere servile davanti all’offerta di lauti rimborsi spese. Insomma, Madonna non si trovava a New York, ma a Fasano e se davvero voleva sentire la pizzica avrebbe dovuto recarsi lei nel territorio dove si suona. Non siete d’accordo? Chi se ne fotte. Penso a quanto i calabresi o i campani siano gelosi della propria cultura musicale e di quanto rari siano i corsi o i concerti di tali musiche fuori dal proprio contesto. Penso anche che se vado in una rota (o ronda o cerchio di suonatori) calabrese, non mi fanno suonare se non mi conoscono. In Salento invece si, entra chiunque, anche il neofita o l’esaltato che rovina l’armonia musicale. Essere democratici è bello, ma essere troppo permissivi è un male. Con Madonna il permissivismo e il servilismo ha raggiunto vette altissime. Finché non prenderemo coscienza che il patrimonio culturale immateriale è fragile e di valore, talmente di valore da essere inestimabile, continueremo a svenderci e a dare il culo per quattro denari, quando invece dovremmo essere orgogliosi di ciò che abbiamo e offrirlo col contagocce, come fosse merce rara destinata solo a chi sa davvero apprezzare. Ma in ciò abbiamo l’esempio negativo di eventi obrobriosi come La Notte della Taranta, che vende il culo pur di ottenere 150.000 presenze ogni anno e vantarsi fin quando non arriva fine agosto, periodo in cui tutti se ne dimenticheranno fino agli inizi dell’agosto dell’anno successivo. A me ste cose, onestamente, fanno tristezza.

Quindi perdonatemi se perculo quelli che hanno suonato per Madonna. Non hanno colpe, certo, ma l’unica loro colpa è di essere talmente rozzi e ignoranti da non capire l’oro che hanno nelle mani e venderlo in cambio di due cucuzze ammaccate. Non è colpa loro, la colpa è di chi non gli ha spiegato l’elementare differenza tra costo e valore: tra il costo del carburante e il valore della mano che suona sul tamburo.

2 commenti su “Madonna, la pizzica e il servilismo”

  1. Madonna (o chi per lei) ha fatto ciò che fanno tutti gli organizzatori di eventi: chiamare un gruppo per suonare. Non so a quanto ammonti il rimborso spese per il carburante (dipende se i mezzi con cui viaggiavano i suonatori andavano a gasolio, benzina o GPL/metano), ma simbolicamente quei quattro suonatori non solo si sono svenduti per un rimborso spese (e per un “io c’ero” da postare sui social, con il petto gonfio d’orgoglio), ma hanno tradito le proprie origini….
    DOVREBBE INFORMARSI MEGLIO …MADONNA O CHI PER LEI HA CHIAMATO ALLA SUA FESTA L’ ENSEMBLE DI ENZA PAGLIARA E DARIO MUCI …ARTISTI SALENTINI CON TANTO DI PROFESSIONALITA’ …che hanno fatto un’ ora di spettacolo con Tarantarte alle danze.

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  2. Saranno ormai 20 anni che esiste la netiquette, quelle regole di comportamento su internet che rappresentano il galateo del reciproco rispetto. Una di queste, per fare un esempio, stabilisce che scrivere in maiuscolo equivale ad urlare. Dato che queste regole elementari esistono da tanto e che presumo lei le conosca, le chiedo di calmarsi.
    Detto ciò, non rispondo a lei. Di lei non mi interessa nulla. Rispondo solo a vantaggio di chi legge. Sul concetto di “professionalità”, onestamente, nutro sempre seri dubbi. Non mi riferisco ai nomi che ha citato, ma parlo in linea generale. Chi è professionale? Chi canta sui palchi e/o fa un tot di concerti all’anno? Non credo sia sufficiente. Per me professionale è un gruppo come il Canzoniere Grecanico Salentino, che ha saputo coniugare tradizione musicale e naturale evoluzione, sia musicalmente che concettualmente (poi due di loro escono dal conservatorio, il ché – nella musica – non guasta…). Professionista era anche il compianto Uccio Aloisi, lo era semplicemente perché ha vissuto ciò che cantava. Diciamoci la verità, tutti i gruppi di musica popolare salentina di oggi (eccezion fatta per pochi nomi) sono solo cover di canti del passato. In questo quadro ritengo che uno che canti cose non sue, che non evolva la musica, non la studi e non sappia incrociare due versi nuovi che abbiano un senso e una funzione, non sia un professionista.
    Detto ciò, i suonatori di tamburello (non musicisti) o i cantori (non cantanti) devono ringraziare chi gli ha tramandato questo Patrimonio e non svenderlo, perché non è loro. Creare centinaia di gruppi, suonare per quattro soldi e persino suonare in una festa privata per Madonna, mentre a Torrepaduli anche quest’anno la festa moriva ancora, è svendersi, è anche sputare nel piatto dove si è mangiato per decenni. Poi ognuno la pensi come vuole, ma per me queste operazioni sono simili a quella di Totò che voleva vendere la Fontana di Trevi al pollo americano. Mah, le similitudini, a ben pensarci, sono tante.

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