Trump e i dazi. Ha fatto bene o no?

Ogni mattina, quando mi sveglio, corro a leggere il giornale per scoprire – oltre alle divertenti news riguardanti l’intricata matassa della politica interna – le ultime trovate di Donald Trump. Mi diverte troppo. Tuttavia l’ultima sua trovata, quella di imporre dei dazi doganali alle importazioni di acciaio e alluminio, rispettivamente del 25 e del 10%, non mi ha divertito. Mi ha sorpreso. E in bene pure.

Trump sembrerà anche un fesso fascistoide, razzista, estremista e pericoloso, ma è uno che sa il fatto suo. Ci sono due chiavi di lettura di questa sua ultima mossa.

Da un punto di vista politico ha messo sotto scacco il WTO (l’organizzazione mondiale del commercio) e ha chiaramente dimostrato che quell’organismo non serve a una cippa. Cosa che tutti sapevano, ma che oggi viene messa a nudo. Inoltre ha messo il guinzaglio corto alla Cina nei delicatissimi rapporti tra USA e Corea del Nord. Perché è chiaro che Kim Jong (il dittatore nord-coreano) non fa un passo se Xi Jinping (il presidente cinese) non glielo concede e quindi con questa mossa Trump si spiana la strada verso una contrattazione politico-economica tra i tre Paesi.
Da un punto di vista meramente economico non posso che dargli ragione. I dazi, si sa, sono una mannaia nei rapporti commerciali internazionali. Ma solo se i rapporti sono paritetici. Detto in altri termini, se io, imprenditore americano, pago 2000 dollari al mese un mio operaio e gli garantisco i suoi diritti sindacali, vendo i miei prodotti finiti, sul mercato, a – che ne so – 500 dollari al kilo.
Bene.
Ad un certo punto, però, arriva – sul mercato internazionale – fatto solo di domanda/offerta e senza alcun tipo di controllo, un concorrente – per dire, cinese – che paga il suo operaio una ciotola di riso e quattro frustate al giorno, e vende il suo prodotto finito a 20 dollari al kilo. Chiaramente tutti i compratori si rivolgeranno a lui e manderanno a quel paese la mia azienda.
Questa, in poche parole, è l’economia globale. E’ paritetica? E’ equa? Detta in altri termini, sono arrivati i cinesi e non si vende più niente, parafrasando una poco celebre canzone di Checco Zalone.
Sta cosa della domanda/offerta, a livello globale, non si risolve certo mettendo i dazi e imponendo, di conseguenza, prezzi finiti più alti. No di certo. Però è un segnale che la sola domanda/offerta non basta per regolare i rapporti commerciali. Ci vuole controllo, ci vuole parità.
In Italia lo sappiamo bene come funziona il mercato. I produttori locali, che magari lavorano sulla qualità e investono tanto in innovazione, sono continuamente tartassati dall’iniquo sistema fiscale e dalla troppa burocrazia. Hanno costi alti, ma devono vendere a poco per poter sopravvivere. Perché? Perché le importazioni selvagge e senza nessun controllo impongono alle aziende di abbassare i prezzi. Giusto per fare un esempio, se sono un produttore di olio, la legge mi impone molti adempimenti, tra cui: contratto collettivo nazionale per i dipendenti, analisi di prodotto, un sistema di produzione conforme e, non ultimo, la tracciabilità del prodotto. Per farlo, impiego molte risorse e sono costretto a vendere il prodotto finito, chessò, a 10 euro al litro, giusto per stare stretto stretto e avere un minimo di margine. Poi, però, mi arriva sul mercato l’olio tunisino, fatto da dipendenti pagati un cazzo, assunti in nero, senza controlli e senza garanzie di qualità, che viene venduto all’ingrosso a 50 centesimi al litro, tra l’altro senza alcun controllo in dogana, e me lo ritrovo sullo scaffale del supermercato, accanto al mio, alla metà del prezzo. Il commerciante, che acquista il mio olio insieme a quello tunisino, avrà, di conseguenza, piccoli margini sul mio e grossi margini su quello importato. In un mercato totalmente libero, quale dei due sceglierà? Ecco svelato il segreto del libero mercato: scegliere il prodotto più economico e con più alti margini di profitto.
Trump, con i dazi, ha lanciato un segnale: basta liberismo selvaggio. Lo ha fatto solo per questo? Non lo sappiamo. Lo ha fatto per garantirsi un margine di contrattazione politica? Forse. Fatto sta che ha messo sotto i riflettori un sistema di libero scambio corrotto e iniquo, che ha al centro la produzione cinese.
L’Europa, che cerca di fare la voce grossa sulla questione, c’entra come i cavoli a merenda. Si è piazzata in mezzo a una questione puramente avviluppata tra USA e Oriente e sta sbilanciando gli equilibri. E’ per questo che Trump, in preda agli inevitabili deliri di onnipotenza, ha minacciato l’Europa che in caso di dazi europei sulle produzioni americane, ci saranno ulteriori rappresaglie. Vuole minacciare e fare la voce grossa per togliersela d’avanti. L’Europa non c’entra in questa guerra tra USA e Cina. Se ne faccia una ragione.
Comunque, al di là delle intenzioni di Trump, ciò che conta è che finalmente è stata messa in luce una realtà che tutti conosciamo ma di cui nessuno, finora, ne ha parlato a livello internazionale: la guerra al ribasso imposta dalla produzione di massa cinese. Sarebbe ora di dire basta. E se i dazi rappresentano un inizio per farlo, ben vengano.

11 commenti su “Trump e i dazi. Ha fatto bene o no?”

  1. Più che la Cina sono i surplus tedeschi il vero problema. Trump ha più volte denunciato la manipolazione della moneta fatta ad uso e consumo della Germania. I primi ad uscire sono stati gli inglesi vista la forte esposizione della bilancia commerciale verso l’EURO PA, ma messi peggio di loro sono gli USA! Gli squilibri della deflazione salariale faranno innescare una crisi globale epocale…

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    • Scusa leggo solo ora. Gli USA hanno un deficit commerciale verso l’eurozona (e non solo) molto pesante, inoltre le politiche di privatizzazione del lavoro rendono la loro economia estremamente fragile ( badta ricordare i mutui subprime del 2007). Trump ha più volte denunciato la manipolazione della moneta fatta dalla Germania a danno degli Stati Uniti, il paradosso è che l’euro è stato voluto proprio da una parte dell’establishment USA che una volta caduto il muro di Berlino voleva imporre il loro bel modelli neoliberista di precarizzazione del lavoro e distruzione dei diritti sociali: la Russia prima brutta e cattiva era tenuta a bada anche grazie a modelli economici e democratici evoluti come la nostra Costituzione, altrimenti se svelavano il marcio del modello predatorio finanziario attuale il partito comunista come lo potevano tenere a bada? Comunque con il tana libera tutti si è dato il via al progetto: una moneta di nessuno calibrata sulle esigenze del paese egemone e su quelle del sistema finanziario americano. Peccato che l’imperialismo tedesco insaziabile e senza limiti abbia ormai raggiunto limiti inimmaginabili… Trump non può fermare il vento con le mani il mondo è in deflazione salariale, l’eurozona che in passato sosteneva la domanda mondiale grazie ad un welfare evoluto oggi sta diventando la nuova Cina e l’onda della crisi sarà enormemente più devastante di quella del 2007. Quindi la reazione di Trump ha l’unico vantaggio di far esplodere prima una bolla che sarebbe comunque esplosa: in America come in Italia la gente l’ha votato perché le condizioni sociali sono peggiorate a vista d’occhio con l’amministrazione Obama. Scusa per il raffazzonato commento, comunque in modo più chiaro ho scritto qui quello che credo stia per aaccadere. I castelli di sabbia della finanza! | OpinioniWeb-XYZ
      https://opinioniweb.blog › i-cast…

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  2. Ciao Roberto, grazie per la chiara e lucida analisi. E’ molto condivisibile, però credo che in questo intricato rapporto tra USA e l’Europa a trazione tedesca ci si infili anche il delicato rapporto tra USA e Oriente, in particolare la Cina. Perché se è vero che le politiche europee degli ultimi anni hanno portato il vecchio continente verso la precarizzazione del lavoro e lo sfruttamento incontrollato dell’economia da parte della finanza speculativa è anche vero che questo modello ci è stato “insegnato” dalle politiche produttive e commerciali cinesi, che hanno portato sempre più al ribasso la qualità produttiva. Ora è vero che stanno invertendo (lentamente) la tendenza e che molte aziende cinesi stanno investendo in qualità e innovazione, ma è anche vero che la Cina è tra gli ultimi paesi mondiali in termini di reddito pro-capite. Se Trump farà in modo, come dici, di velocizzare l’esplosione di una nuova bolla finanziaria sarà solo un bene, perché ne soffriremo, ma forse a questo giro capiremo che questo modello economico globale non funziona e fa solo del male. L’unico dubbio è: come la prenderanno i paesi del “terzo mondo” ma a economia emergente come l’India? E l’Argentina come reagirà, visto che ha sofferto più di tutti queste forme speculative? Per non parlare del resto del Sud-America…

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  3. I paese del sud del mondo subiscono queste politiche grazie ad agganci valutari ( dollaro in Argentina e altri del sud America, euro per i paesi del l’Africa sub sahariana). Riguardo ai salari cinesi, se fai un giro in rete scopri che addirittura l’OCSE certifica come in molto settori i cinesi ormai guadagnano come gli europei e non tanto per i loro aumenti salariali ma soprattutto per le cosiddette “riforme” neoliberiste. I paesi che più soffriranno sono quelli con agganci valutari che deprimono l’economia in primis nell’area euro. Non potremo continuare a fare austerità in paesi già stremati, ma quando usciremo u default e le ristrutturazioni del debito come sarà accettato dai popoli che fino ad oggi hanno vissuto “seduti” sulle spalle degli altri grazie ad una moneta che ha creato squilibri enormi? La narrazione dei media a chi darà le colpe? Al debito pubblico dei fannulloni del sud Europa? Tutto si ripete come prima della guerra, popoli stremati da austerità e speculazioni che scelsero di affidarsi a persone sbagliate nella speranza di un cambiamento… Speriamo ci sia una già e:uscita pacifica

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  4. Si, è chiaro che molti cinesi guadagnano quanto gli europei, ma si tratta pur sempre di imprenditori e, come dici tu, solo di alcuni settori. Il problema in Cina sono appunto i salari, come anche in Europa. Se Trump vuole proteggere i salari degli operai del metallurgico attraverso i dazi, questa non sarà una soluzione allo squilibrio dei commerci globali, ma è un segnale che servirà a riflettere sul rapporto tra costo del lavoro ed esportazioni. Per il resto della tua analisi mi trovi d’accordo, gli squilibri voluti da un Euro a trazione tedesca non dureranno a lungo perché sono insostenibili. Ora vedremo come si relazionerà il futuro governo italiano con il sistema europeo, perché è sufficiente dare una piccola scossa affinché crolli tutto. E l’Italia, in questo momento, è determinante per la tenuta dell’euro. Ho sempre pensato che l’ideale sarebbe quello di creare una lega mediterranea tra gli stati del Sud Europa (Spagna, Grecia, Italia e paesi balcanici e mediorientali) per costituire un “bipolarismo” europeo, ma con una Grecia al guinzaglio, una Spagna sempre più isolata e i paesi del medioriente in perenne conflitto resta solo un sogno…

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  5. Un euro del sud non risolverebbe i problemi perché ad es. l’Italia per la Grecia diventerebbe la nuova Germania e gli squilibri si sposterebbero senza cambiare la sostanza del problema. Le unioni se si devono fare presuppongono di partire dalle fondamenta: una politica fiscale comune. In realtà nel mondo esse sono un’eccezione perché ogni stato ha fondamentali economici diversi. Innanzitutto il mercantilismo basato sull’export è sempre fallimentare perché se tutti esportano chi compra? Ancora un’ unione interstellare non è fattibile e nel mondo i galli sono ormai troppi e non fanno che acuire le lotte economiche, doganali,….

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  6. Si, capisco, ma si può anche ottenere una politica economica comune prescindendo dalla politica fiscale. Ogni paese ha la propria ed è fuori discussione, ma non è detto che una fiscalità non comune sia il presupposto per un’unione inefficace. Semmai ci dovrebbe essere una perequazione fiscale comune. In materia di export, poi, è chiaro che se tutti esportano…chi compra? Ma è anche evidente che ci sono paesi più propensi a certe produzioni rispetto ad altri. Se noi esportiamo, chessò, olio, non importeremmo olio, bensì vino. E così di seguito. Le politiche comunitarie servono a questo, no? L’Europa avrebbe dovuto svilupparsi secondo una politica economica omogenea ed equa, però è andata così. Ma ciò non toglie che unioni tra paesi vicini, anche culturalmente, non possano funzionare. Allo stato attuale non funzionerebbero, certo, ma su presupposti economici certi, perché no?
    A margine di ciò e anche se l’Europa si fosse sviluppata su criteri equi e senza leaderismi periocolosi, mi dici cosa c’entra uno spagnolo con un danese o un greco con uno svedese? L’integrazione europea è una bella cosa, ma culturalmente siamo agli antipodi. Non dico che al Nord sono “migliori”, come fanno alcuni, additandoli come esempio di welfare (il ché non è propriamente vero), ma che sono diversi e che l’integrazione europea, anche se bella, è infattibile e serve come grimaldello per ottenere forza lavoro qualificata e a basso costo dai paesi del Sud Europa.
    Comunque non mi voglio dilungare troppo, altrimenti staremmo qua fino a domani 😀 😛

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  7. Condivido quello che dici. Concludo solo aggiungendo che il presupposto dell’Unione è appunto la specializzazione ( o mutilazione?) dei vari paesi in un settore economico e ciò servirebbe forse a qualcosa ( ?sforzandosi si possono trovare motivi validi ma ho molti dubbi) se e solo se il paese forte in base al quale è stata tarata la moneta ridistribuisce i vantaggio surplus in spesa pubblica aumentando gli stipendi, pensioni dei propri cittadini e tamponando così la svalutazione competitiva degli stipendi fatta dagli altri stati per tentare di recuperare competitività! Ebbene la Germania è il paese UE con meno investimenti pubblici… Prometto che è l’ultimo commento al post. Grazie per l’ospitalità e a presto

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    • tu puoi commentare quanto vuoi, i tuoi contributi sono sempre preziosissimi e servono a me per capire meglio la politica economica globale, ma soprattutto a chi legge a orientarsi meglio. Quindi continua così 🙂

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