Ecco perché Salvini è il politico più capace

Il risultato elettorale in Friuli, che vede Massimiliano Fedriga con il 57% delle preferenze, non ci stupisce affatto. E non stupisce nemmeno il crollo del Movimento 5 Stelle che ha perso, in Friuli, quasi 15 punti percentuale rispetto alle scorse politiche. Non stupisce non perché, come qualcuno dice, ormai il M5S ha perso appeal tra l’elettorato. No, affatto. Il motivo è, banalmente quanto squisitamente, dipendente dall’ambito geografico, dal bacino elettorale nonché dal tipo di legge elettorale, ma soprattutto dal candidato, Fedriga, che rispecchia perfettamente la filosofia di fondo della Lega Nord di Salvini e ne ha assunto la capacità di linguaggio divulgativo e la lucida analisi della complessa (seppur schematicamente semplice) congerie culturale italiana d’oggi giorno.

E’ da questa capacità di analisi che parte il mio apprezzamento nei confronti di Matteo Salvini come figura politica e di tutti gli altri esponenti della Lega che, in questi anni, hanno saputo perfettamente leggere la realtà e trasformarla in slogan politici d’alto impatto. Sicuramente molti dei miei (pochi) lettori a questo punto staranno storcendo il naso oppure avranno già abbandonato la lettura. Poco importa. Chi avrà l’ardire di continuare capirà che personalmente non stimo né Salvini né la Lega Nord, che non li ho votati né credo che lo farei e, soprattutto, che la figura del politico che sa interpretare la realtà è molto distante dalla figura del politico che amministra un Paese. Da qui ne discende che occorre tener ben distinti i ruoli: non sempre la figura del politico analista e divulgatore coincide con la figura del politico amministratore. Quando avviene siamo di fronte allo Statista. Ma attualmente non credo ci siano figure tanto autorevoli nel panorama politico italiano.

Detto ciò e augurandomi di aver saputo comunicare la distinzione tra i due ruoli, non posso esimermi dal considerare Salvini un attento analista della realtà attuale. Chiunque voglia sconfiggerlo sul piano dialettico o affrontare l’ondata d’urto che la Lega prima o poi porterà nel tessuto sociale italiano dovrà anzitutto non minimizzare né demonizzare l’operato di Salvini, altrimenti ne uscirebbe sconfitto. Chi gli dà del fascista o del populista commette un ingenuo errore di valutazione.

Fermiamoci un attimo ad osservare com’è cambiata la realtà negli ultimi 40 anni.

Il mondo cambia. Superfluo documentare un fatto così grave e così esteso: cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni, politica, mentalità, civiltà … tutto è in movimento, tutto in fase di mutamento. Così commentava Paolo VI già nel 1974 e, in una lucida analisi della realtà, si rendeva conto di come la Chiesa, ferma e rigida nei suoi immutabili dogmi, si allontanava sempre più dai propri fedeli, ormai ammaliati dai richiami edonistici del consumismo e chiusi nel proprio individualismo feroce. Sono proprio queste le chiavi di lettura che ci possono portare a scandagliare la realtà attuale e a capirne l’intima essenza: consumismo e individualismo. Il primo, giunto ormai a maturazione e figlio legittimo del pensiero unico capitalista, è la religione di tutte le religioni, è il mostro sacro per cui sono sparite – nel giro di 40 anni – intere civiltà. La Civiltà contadina, con i suoi miti e le sue regole sociali attentamente analizzati da De Martino, è stata sepolta e dalle sue ceneri è sorta un’Araba Fenice composta da un nuovo modello comportamentale: la divinazione del consumo.

L’individualismo, invece, che vede l’essere umano come monade isolata e come destinatario unico degli interessi della società del consumo, ha soppiantato le rigide e classiche forme sociali: la Civiltà contadina, come ho detto, è morta, com’è anche stata annichilita la borghesia, il ceto medio. Le classi sociali storicamente ben irreggimentate nelle loro concezioni della vita e della storia sono scomparse e al loro posto ha prevalso l’Ego. E’ chiaro che in questa liquidità della società (per usare un termine baumiano) è facile adeguarsi al conformismo di matrice capitalista, mosso dai costumi calati dall’alto, da efficaci quanto suadenti strategie di marketing (tradizionali e digitali) e improntato sulla regola aurea che muove ormai il mondo: vendere. In questo contesto la televisione, il mondo della musica, della cinematografia, i big della rete (Facebook e Google in primis che possono vantare anche l’arma della profilazione) persino lo sport sono fautori della religione delle religioni, in quanto propongono, anzi, persuadono gli utenti (non più persone) a fare del consumo un modello di vita. Da ciò ne discende che i comportamenti collettivi di massa altro non sono che forme nuove di interclassismo.

Apro una breve parentesi per spiegare meglio il concetto. Non è un caso che l’UNESCO, in questi ultimi 30 anni, abbia lanciato numerosi allarmi circa la scomparsa delle diversità culturali, ritenendo che la globalizzazione abbia disgregato il complesso coacervo culturale mondiale. La diversità culturale, minacciata dalla globalizzazione, è importante per l’Umanità quanto la biodiversità è importante in Natura. L’omologazione dei consumi, quindi, annienta le diversità e depaupera i gruppi sociali dei propri valori di riferimento, delle proprie millenarie credenze, dei miti e riti stratificati e trasmessi oralmente, delle convinzioni, della propria visione del mondo.

Inoltre non è un caso che Facebook, periodicamente, effettui esperimenti sociali per capire quante persone si conformano ad un certo richiamo. L’ho spiegato in quest’articolo. Questo lo fa periodicamente e in occasione di grandi eventi o eventi straordinari per capire quanto siano efficaci e pregnanti le proprie strategie ed, eventualmente, nell’ottica del miglioramento continuo, per modificarne i parametri.

La nuova cultura interclassista – o liquida sempre usando l’intuizione geniale di Bauman – si è quindi ormai imperniata sul modello consumista, tanto da aver naturalmente abiurato tutte le forme sociali del passato. In altre parole ha scelto il benessere, la qualità di vita migliore, l’automobile, il telefonino, il week-end al mare, i viaggi, la sicurezza del proprio patrimonio e della propria casa, insomma, il proprio modello di vita che potremmo definire liberal-consumistico. Che differenza c’è tra chi ha i mezzi per poter avere una vita agiata e chi invece non li ha? Una volta questo era un elemento del conflitto di classe, oggi invece il conflitto è sparito ed è stato soppiantato dal sogno di ottenere quei mezzi, a tutti i costi. Non più dal lavoro (non c’è) né dal sacrificio né tantomeno dal merito. Il merito viene allineato da una scuola nozionistica, in continua riforma (verso il basso) e con docenti svogliati, impreparati e impauriti, il sacrificio (o, come si diceva in passato, la gavetta) viene confuso con lo sfruttamento (e spesso mischiato) e il conflitto non può esistere se non esistono due (o più) classi con visioni diverse del mondo e della storia. Ecco che, magicamente, si spiega il perché l’unico Dio per tanti è il sogno di vincere al gratta e vinci o al superenalotto o perché tanti figli uccidono i propri genitori per ottenerne l’eredità o, peggio, qualche spicciolo oppure perché molti preferiscono lo spaccio, attività più redditizia del lavoro. Non è certo questa l’unica spiegazione, ma va vista come una chiave di lettura.

Ecco perché, infine, per molti (è inutile nascondersi dietro un dito) il reddito di cittadinanza, o d’inclusione o comunque lo si voglia chiamare, è il leit-motiv che spinge a votare, per raggiungere il tanto sognato benessere.

Cosa c’entra tutto questo con Salvini?

C’è da chiedersi come abbia fatto un personaggio a portare un partito prettamente territorialista, fermo al 4%, ad un partito ormai di fatto nazionalista che vanta il 18% di consensi, con un buon bacino elettorale persino al Sud. La risposta appare semplice quanto scontata. Ha saputo anzitutto dialogare con la gente, sia al Nord che al Sud e ha capito che le distinzioni di classe o le distinzioni territoriali sono ormai dei meri sfottò privi di qualsiasi substrato culturale, quindi è riuscito – in pochi anni – ad entrare nella pancia delle persone parlando un linguaggio comune e intercettando i desideri e le paure della gente.

Ammettiamolo pure candidamente. E’ stato l’unico, oggi, a capire che le distinzioni tra fascismo e comunismo sono ormai evidenti solo sul piano letterale e in nostalgici e sbiaditi ricordi della storia e che anch’esse si sono liquefatte e mischiate nella realtà di tutti i giorni.

Tutti sappiamo che, statisticamente, i reati commessi da italiani sono di gran lunga superiori ai reati commessi da stranieri, eppur nessuno può obiettare che la lotta all’immigrazione sia uno dei capisaldi della Lega e sia generalmente sentita come una necessità da parte di larghe fette della popolazione.

Nella storia abbiamo sempre assistito a scontri sociali. La comunità diventa compatta e coesa quando ha un nemico comune. Dai vecchi campanilismi (le lotte tra paesi) tipiche del Medioevo (e che ci siamo portati finora come retaggio) alle lotte di classe di Sessantottiana memoria, fino a giungere agli scontri Nord-Sud, nella dialettica politica degli anni Ottanta e Novanta, oggi, con una società interclassista, il nemico da combattere viene dal mare, ha un colore di pelle diverso, parla una lingua diversa e, preso dalla disperazione e dalla dicotomia tra la cultura d’appartenenza e il nuovo modello sociale d’approdo, fa – statisticamente in misura inferiore – quello che farebbe un qualsiasi ragazzo italiano alla ricerca disperata di soldi: delinque. Ne ho parlato brevemente in un vecchio articolo sullo Ius Soli.

Individuare un nemico comune, parlare un linguaggio semplice e comprensibile, stare tra la gente e capirne bisogni e desideri, questo è ciò che Salvini ha fatto, in modo talmente semplice da essere rivoluzionario. Perché mentre gli altri partiti (e persino la Chiesa, fino al 2013) ancora non avevano ben chiara la portata rivoluzionaria del modello capitalista, che ha sfalciato via le classi sociali, la Lega di Salvini, con un certosino lavoro sui territori, ha ben capito tutto ciò e l’ha tradotto in propaganda politica.

Da parte sua anche il Movimento 5 Stelle ha fatto altrettanto, solo con un grossolano errore di valutazione: non ha dato importanza alle istanze dei territori, si è affidata quasi esclusivamente alla rete come termometro sociale, quando invece la rete spesso si è dimostrata fuorviante per capire i bisogni e i desideri della gente. Le sedi territoriali della Lega, invece, a differenza dei MeetUp dei 5 Stelle, hanno rappresentato il vero termometro sociale grazie al quale Salvini ha ottenuto quei dati che, come dicono tutti gli esperti di marketing digitale, rappresentano l’unico vero strumento per operare precise strategie di marketing. E la Lega, anche rispetto al M5S, ha saputo leggere e interpretare i dati per poi offrire alla gente un prodotto appetibile e altamente profilato.

Ora vedremo se la Lega avrà (prima o poi) le stesse capacità nel gestire le Istituzioni in cui siederà. Ad ogni modo mi auguro che questo contributo non sia preso come un mero elogio alla Lega ma per quello che è: l’analisi di chi le analisi le sa fare.

2 commenti su “Ecco perché Salvini è il politico più capace”

  1. Vero vorrei solo indicare che il vero nemico di ogni progresso e’ una visione utopica che preclude ogni vero progresso ed in qianto utopica non puo’ che fallire.lasciando i suoi sostenitori in uno scetticismo assoluto.ma lo scetticismo assoluto non puo’ durare a lungo e spesso si cade in una nuova utopia, dimenticando il diritto naturale gia’ indicato da Cicerone

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