5 motivi per cui si rischia l’analfabetismo di ritorno

leggere evita l'analfabetismo di ritorno

L’analfabetismo funzionale e il conseguente analfabetismo di ritorno, come sappiamo, è la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità. Questa definizione venne coniata dall’UNESCO addirittura nel 1984, proprio perché, … Leggi tutto

La depressione è una malattia?

depressione

Giorni fa sulla Stampa è stato pubblicato un articolo (subito rimosso) dal titolo: “depresso un italiano su 5 e le cure fai da te sono un’emergenza”, in cui, secondo uno studio condotto congiuntamente dalla AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e dal CNR di Pisa, circa undici milioni di italiani soffrono di depressione e prendono psicofarmaci. … Leggi tutto

Lercio e gli anti-vax

lercio vaccini

Non ho mai voluto prendere posizione sulla diatriba pro-vax / anti-vax, anche perché ritengo l’obbligo vaccinale un’imposizione eccessiva e, sotto certi versi, ingiustificata, ma la tematica è stata affrontata in modo forzoso dal Governo in una sorta di risposta di pancia alle sempre più eccessive reticenze, da parte di numerosi genitori, nell’assolvere al dovere di vaccinare i propri figli, per evitare l’insorgenza di malattie che ritenevamo superate da tempo.

Insomma, su questo tema tutti hanno torto e tutti l’hanno affrontato nel peggiore dei modi. Il Governo perché impone con legge un dovere igienico-sanitario che spetterebbe ai genitori e che, fino ad oggi, è stato assolto in modo pressoché sistematico senza grosse ripercussioni; i cosiddetti anti-vaccinisti perché, spesso preda di false notizie, complottismi da quattro soldi, pareri di pseudo-scienziati e leggende metropolitane, mettono in serio rischio la salute pubblica, evitando ai propri figli anche le vaccinazioni minime.

Pro-vax e anti-vax, in questi mesi, se le danno di santa ragione a suon di post, commenti, condivisioni, tweet e dibattiti televisivi e digitali, in una sorta di epopea in cui soprattutto i no-vax muovono accuse, allarmi, urla e insulti variopinti, prospettano oscure trame ordite tra Governo e grandi Aziende farmaceutiche per fare affari d’oro sulle spalle dei poveri italiani e propongono dissertazioni scientifiche – fatte rigorosamente sui social – basate su tanti proclami ma pochi contenuti tecnici. Del resto se un medico no-vax o pro-vax spiegasse scientificamente l’utilità o meno dei vaccini, con (doveroso) linguaggio tecnico e con grafici, dati, analisi, chi li capirebbe? Nessuno, nemmeno un medico generico forse riuscirebbe a districarsi tra i meandri di esposizioni scientifiche così complesse. Ed è per questo che – fino ad oggi – la gente tendeva a fidarsi della Scienza.

Ma ora, soprattutto a causa del dilagare, su internet, di informazioni di basso profilo, facile comprensione e spesso di dubbia provenienza, e grazie alla nota propensione dell’italiano medio a imboccarsi qualsiasi cosa (ricordo che siamo il Paese con il primato assoluto in materia di analfabetismo funzionale), può capitare che persino un articolo web proveniente da un notissimo giornale di satira venga scambiato per vero e dia origine a centinaia di condivisioni la cui lettura è uno spasso nel delineare l’archetipo dell’analfabeta funzionale (e pure strutturale).

Tutto è iniziato con la condivisione di quest’articolo del Lercio, intitolato “La figlia di Roberto Burioni rifiutata dalla scuola: non è vaccinata”, da parte di un noto no-vax, un certo Salvatore Morelli, di professione logopedista (una specializzazione chiaramente votata alla profonda conoscenza dei vaccini), che – a suo dire – lo avrebbe condiviso per scherzo per sfottere il collega Burioni.

Qualunque sia stata la sua intenzione, il risultato è che l’articolo è stato ricondiviso da centinaia di persone, tutte che credevano alla bontà della notizia. Di seguito alcuni esempi

Ora, un paio di riflessioni.

Da quel che ne so, se uno vuol fare dell’ironia, lo lascia intendere. In questo caso il prode Morelli ha sì commentato la notizia con una frase vagamente ironica (Prof Roberto Burioni mai mi sarei aspettato questo da te, accompagnata da una faccina sorridente), ma non ha specificato la cosa essenziale: che l’articolo del Lercio era evidentemente un articolo di satira. Se lui l’avesse capito o meno non è dato saperlo, visto che il dott. Morelli non ha dimostrato di saper sottolineare l’ironia della faccenda.

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Il post del dott. Morelli

Ciò detto, va evidenziata un’altra cosa, che più mi rattrista e mi diverte allo stesso tempo.

Lercio esiste da diversi anni e tutti sanno che fa satira. Ma vabbè, facciamo conto che non tutti lo sanno.
L’articolo parte con “Epidemi (CO)“, notissimo paese in provincia di Como, gemellato con “Presiden (TA)“, paese d’origine della Boldrini (lei, chissà perché, non è stata citata dai no-vax). Ma vabbè, sta finezza non l’hanno colta tutti.
Cita un certo “Libero Di Scelta”, autore del famosissimo sito web “www.AMeNonMiFregate.it”. Ma vabbè, facciamo finta che non tutti hanno dimestichezza con nomi e domini.
Però – per dio(gene) detto il cane – sull’“analisi dell’ascendente ematoencefalico” e sulla cura “con i fiori di Bach o al limite con le palle di Mozart” poteva sorgere, tra i lettori, il seppur minimo sospetto che si tratta di satira, ma facciamo pure facile ironia o supercazzola? No, eh? Proprio nulla? Quindi questa è l’ennesima dimostrazione che la gente non capisce ciò che legge oppure condivide i contenuti e si fa un’opinione solo leggendo un titolo. E, dunque, potrei mai aderire alle teorie propugnate da questa gente? Non so, devo informarmi meglio sul tema vaccini. Quasi quasi interpello un fitopatologo vegetale, un nutrizionista o un veterinario.

E’ inutile prendersela con gli analfabeti funzionali

analfabeti funzionali

Analfabeti funzionali, che termine curioso, proprio come webeti (coniato – pare – dal giornalista Enrico Mentana).

Una volta, prima dell’avvento dei social e persino di internet, al mio paesello quelli così erano chiamati volgarmente e semplicisticamente scemi, con varianti lessicali dipendenti dagli strati sociali oppure dalla qualità della conversazione quali idioti, fessi, imbecilli, stupidi, stolti (questo è il termine che usavo quando parlavo con persone acculturate), cretini, per poi arrivare ai localismi quali mammallucchi, pampasciuni, cugghiuni, fave o grulli (usato nella mia permanenza in terra toscana).

Oggi però imperversa una moda linguisticamente fatale, che s’insinua – attraverso il web – nei nostri linguaggi e, piano piano, senza farsi accorgere, ne modifica i lemmi, pur nell’immutabilità dei significati.

Ecco che, per esempio, lo storytelling non è altro che il racconto di storie, il selfie è l’autoscatto, lo stepchild adoption è l’adozione del figlio del partner, il brand è il marchio, l’on demand è un servizio a richiesta, ecc.

Quindi un analfabeta funzionale è semplicemente un fesso che però ha studiato quel tanto che basta per saper leggere e scrivere, ma non è in grado di capire il senso di un concetto, anche semplice. In realtà pure molti laureati (e anche masterizzati o dottorati) soffrono di questa malattia culturale e infatti si nota spesso – viaggiando tra i social – che molti titolati si esprimono peggio di come si esprimeva mio nonno con la terza elementare.

Anzi, a pensarci bene, mio nonno aveva un linguaggio forbito e teneva la contabilità del forno in cui lavorava, con la terza elementare. Ma vabbè, so’ dettagli.

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Dunque, un analfabeta funzionale è un fesso. Chiaro. Alla categoria si possono ricondurre queste figure, così massicciamente presenti sui social:

quello che legge il titolo e commenta

A volte capita che fraintenda anche il senso del titolo, ma siccome i titoli degli articoli di oggi (inclusi quelli – sic! – dei maggiori quotidiani nazionali) sono stupidi, sensazionalistici e acchiappaclick, allora devi essere proprio demente per fraintendere il senso del solo titolo. Quindi sta gente che fa? Commenta solo in base al titolo. E infatti quei mattacchioni dei giornalisti del Secolo XIX l’anno scorso hanno fatto un esperimento sociale, basato proprio su ciò. Leggi e divertiti.

L’odiatore seriale

Premesso che odio i neologisimi angolofoni, quindi col cazzo che userò il termine haters, gli odiatori seriali sono quelli che qualsiasi cosa tu scriva (soprattutto se sei un personaggio famoso o comunque seguito sui social) loro hanno sempre qualcosa da ridire, un po’ di veleno da vomitare, qualche frase offensiva o persino qualche parola pesante o minaccia. Tipo, tu scrivi: “mi è morto il nonno, riposa in pace”. E lui ti risponderà con frasi del tipo: “spero abbia sofferto” o “il tumore se l’è mangiato”, o cose così. L’odiatore è chiaramente un fesso, che siccome non ha altri modi per sfogare le sue innumerevoli frustrazioni, allora lo fa con te e ogni “like” che prende alimenta il suo ego bisunto e lo illude di contare qualcosa nel mondo. In quello virtuale conta solo fino allo scorrimento della timeline, in quello reale purtroppo non conta un cazzo. Ecco perché è sempre immerso sui social. In fondo la sua vita è vuota, quindi i suoi 30 secondi di gloria rappresentano la summa della propria esistenza. Da compatire.

Quello che si fa i cazzi tuoi, sempre e comunque

E’ il tipo che spulcia il tuo profilo, fino ad arrivare a settembre 2007 e che (a volte) gli scappa il dito e mette il like a una foto di giugno del 2009, in cui tu eri sorridente in costume da bagno. E’ quello che quando tu scrivi: “oggi mangio leggero”, ti commenta con un: “hai problemi di fegato”? Ma fatti i cazzi tuoi, no? Spesso questo personaggio è associabile ad un altro normotipo, cioè il maniaco seriale.

Il maniaco seriale

E’ quello che ti chiede l’amicizia. Zero amici in comune, con foto profilo che mostra la tartaruga e il tatuaggio, con occhiali da sole specchiati e montatura verde pisello e un sorriso a 36 denti che simula la sua deficienza. Tu accetti l’amicizia e subito ti arriva un messaggio tipo: “ciao, o visto ke 6 single vuoi scopare?”. Tu gli fai notare che non è il caso, ma lui, nelle settimane a venire, ti mette il “like” a ogni foto che pubblichi, persino a quella della nonna sdentata e sulla sedia a rotelle. E lì capisci che la sua serialità è solo la punta dell’iceberg di un malessere sociale e psichico che potrebbe portare ad epiloghi poco piacevoli.

L’uomo del “meditate gente, meditate”

E’ il mio preferito. Il normotipo di quello che ci mette ore a scrivere un post o un commento e il cui risultato sono solo una serie di frasi stereotipate e ritrite, ma che – in testa sua – solo ricche di cultura e fanno effetto e poi, dopo un’altra ventina di minuti a pensare all’epilogo del suo scritto da nobel, conclude con un “meditate gente, meditate”. Infine, dopo aver premuto “invio”, si gongola pensando alla sua saggezza e attende i like dei suoi simili.

Quello che tu gli parli di fave e ti risponde a piselli

E’ un modo di dire della mia zona, che indica quello che ti risponde a minchia dopo aver iniziato un dialogo con lui. Tu ti sforzi, durante un dialogo tra sordi, nel semplificare il tuo pensiero e fargli capire concetti semplici, ma lui ti risponderà parlando di altro. Non perché voglia distogliere l’attenzione e spostare la conversazione su altro. No. Semplicemente non ha capito e, anziché ammetterlo, ti risponderà a cazzo.

Quello che si mette il like da solo

Nel gergo social, come sappiamo tutti benissimo, un like è un apprezzamento a un contenuto che abbiamo pubblicato. Quindi se lo hai scritto significa che condividi quello che dici, no? Mi pare elementare. Quindi perché, dimmi perché, dammi una spiegazione logica e razionale per cui devi mettere quel like ai tuoi contenuti? Dimmelo, ti prego.

Il condivisore seriale di bufale

La persona più pericolosa nel mondo social. E’ colui che si fa attrarre da titoli quali “Sensazionale scoperta, le scie chimiche fanno venire la cacarella”, oppure “I vaccini faranno diventare tuo figlio autista” o ancora “Putin ce l’ha grosso (condividi e scopri cosa)” o articoli politici come “Renzi ha fatto la cacca e noi gli paghiamo la carta igienica, condividi se sei indignato!”. A nulla vale che l’articolo provenga da un sito che si chiama “ilfattoquotidaino” oppure “la repubblica delle banane”, a nulla valgono le black list dei siti bufalari e complottisti, a nulla vale che tu commenti i suoi post dicendo che sono falsi. Ne uscirà fuori solo un’amara discussione in cui tu sei il complottista e loro i portatori sani di verità assolute. Sono deficienti, punto. Vanno solo derisi e bloccati.

Lo sgrammaticato

In realtà questa categoria racchiude tutte le altre. Per quanto mi riguarda, se uno sbaglia pure un accento, lo depenno dalla mia lista di “amici” e “contatti” (e in effetti mi sento molto solo ultimamente). Per giunta lo sgrammaticato è quello che se tu gli fai notare i suoi errori grammaticali, quasi sempre ti risponderà dicendoti che è più importante quello che vuole dire rispetto a come lo dice. Il cazzo è che non capisci nemmeno ciò che vuole dire e il più delle volte si tratta solo di concetti elementari e imbeccati.

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wow! L’Italia è al primo posto! Aspetta…per cosa? Ops, per analfabetismo funzionale (cioè per numero di scemi)

Ora facciamo un’ammissione. A chi non è mai capitato di imbattersi in tipi del genere? Alzi la mano chi non ha mai avuto a che fare con un fesso. No, non nella vita reale, sui social.

Lì pascolano liberamente, pare essere il loro habitat naturale e pare che rappresentino la maggioranza.

In effetti lo sono

Statisticamente sarebbero quasi la metà della popolazione italiana. Pare. Qualunque sia il dato statistico, resta il fatto che sono in tanti e che tu, anche se cerchi di mostrarti disponibile, aperto e propenso al dialogo, ne uscirai sempre frustrato e ricolmo di offese gratuite.

Il fatto è che hanno vinto gli analfabeti funzionali

Tu puoi anche usare tutta la logica possibile per inchiodarli alla propria ignoranza. Non ci riuscirai. Puoi pubblicare tutti gli schemi logici di questo mondo per fargli capire che bisogna parlare con consapevolezza. E’ inutile. Puoi anche citare tutte le fonti che dimostrano il contrario di ciò che sostengono. E’ tempo perso.

Gli scemi, finché avranno una connessione internet e un accesso libero e indiscriminato agli strumenti social, ti travolgeranno sempre e comunque con le loro supposizioni, i qualunquismi, le dietrologie da quattro soldi e la grammatica calpestata con violenza e abominio.

Tu potrai condividere quanto vuoi gli articoli che richiamano alla ragione, ma saranno solo compresi e accettati dai tuoi simili, cioè da quelli che vivono nelle riserve della ragione (pochi, insomma), mentre intorno a te imperverserà il diluvio dell’arroganza mista a saccenza e ignoranza. Senti a me, esci dai social e torna a leggere un buon libro. Un libro ti darà cultura (tranne quelli di Saviano e della D’Urso) e ti ricorderà la lingua, i social – invece – ti faranno dimenticare persino le regole basilari della grammatica. Davvero, fidati. Che cazzo fai? Condividi questo post sui social? Allora non ai capito un cazzo!