Elezioni politiche 2022: un commento al voto

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Le elezioni politiche 2022 sono ancora in corso, ma siamo ormai nelle battute finali ed è chiaro l’esito del voto. Un commento “a caldo” che considera anche il futuro dell’Europa e dell’Occidente. Son le sette di mattina quando inizio a scrivere quest’articolo e la pioggia ha interrotto il mio programma di andarmene pe’ boschi a … Leggi tutto

Taglio dei parlamentari e riforma del 2006. Cos’è cambiato?

taglio dei parlamentari italia

Il 29 marzo ci sarà il referendum confermativo costituzionale relativo al taglio dei parlamentari (Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari), che prevede la riduzione del numero di deputati da 630 a 400 e del numero di senatori da 315 a 200, portando quindi il … Leggi tutto

Ma quale ritorno al bipolarismo!

A margine dello spoglio elettorale in Emilia-Romagna e Calabria arrivano le prime riflessioni dei leader degli schieramenti in campo e dei commentatori politici, ormai tutti accomunati da un unico motto: si sta tornando al bipolarismo. Lo dice Zingaretti, affermando che: Si sta tornando a un sistema bipolare tra due grandi campi che si contendono la … Leggi tutto

Elezioni Europee: nessuno stravolgimento, ma la Lega esulta

elezioni europee 2019 salvini

I risultati delle ultime elezioni europee ci restituiscono due dati tra loro contrastanti, ma che devono essere analizzati unitariamente. Il primo: Nessun stravolgimento Non sembrano stravolti gli equilibri politici nel nuovo parlamento europeo, dato che Popolari, Socialisti e Liberali hanno ottenuto un’ampia maggioranza, come si vede nel prospetto sottostante: Ppe 23,83% – 179 seggi; S&D … Leggi tutto

Riduzione dei parlamentari, perché è sbagliato

Uno dei cavalli di battaglia del M5S è il c.d. taglio delle poltrone, ossia la riduzione del numero di parlamentari, secondo una logica molto populista e semplice da far assimilare all’elettorato supino, ignorante e inconsapevole: se si riduce il numero di parlamentari, si riducono i costi e quindi gli sprechi e, conseguentemente, ci risparmiamo tutti. … Leggi tutto

Lega, M5S e Monarchia

stato di diritto o monarchia

Tutti siamo convinti di vivere in uno Stato di diritto e non in una monarchia, ossia regolato dalle Leggi e non dai capricci di chi governa. Per arrivare ad una conquista del genere ci sono voluti secoli di dottrine filosofiche, rivoluzioni, lotte politiche, guerre.

Tutto ciò per arrivare ad affermare un principio che si credeva intoccabile, almeno fino ad oggi, ossia che tutti siamo uguali, in forma e in sostanza, dinanzi alla legge e che ogni consociato, o cittadino, conosce la prassi che porta dalla causa all’effetto.

In altre parole, un sistema fondato sul diritto è un sistema certo, per cui so che per raggiungere un certo obiettivo dovrò seguire una certa procedura e so che questo sistema fondato sul diritto mi riserva delle garanzie.

Ora mi chiedo: se nella prassi politica non vengono rispettati certi principi e, peggio, non li rispetta chi è al governo, potrò mai confidare nell’applicazione, da parte di chi mi rappresenta e di chi ha giurato sulla Carta Costituzionale, dei principi che sono alla base della società?

Due fatti recenti mi hanno fatto riflettere su queste considerazioni e mi hanno portato ad attendermi che lo Stato di Diritto è destinato a morte certa se non ci prodighiamo tutti a fermare questa barbarie in atto.

Il bus di San Donato Milanese

Rami san donato milanese

Il primo fatto è legato al terribile sequestro del bus scolastico a San Donato Milanese, dove un soggetto, infarcito da una becera e malata idea di odio e vendetta (che non sto qui ad analizzare, ma che ha cause riconoscibili), ha messo in pericolo le vite di 51 bambini, salvate grazie al coraggioso intervento di alcuni bambini, tra cui un italiano e uno di origine egiziana. La nazionalità dei bambini non dovrebbe essere importante, ma conta relativamente al fatto politico accaduto dopo: c’è chi si è schierato per dare la cittadinanza al piccolo Ramy (il bimbo di origine egiziana) e riaprire il dibattito sullo Ius Soli e chi, come Salvini, riteneva che non la meritasse. Salvo poi ricredersi dopo un social listening del prodotto che orienta le sue scelte politiche: la bestia, quel complesso software che analizza le discussioni sui social e fornisce all’utilizzatore il sentiment della rete su un determinato argomento.

Ebbene, dopo aver scoperto che buona parte degli utenti dei social era schierata con il piccolo Ramy, Salvini, come fosse in una monarchia, ha cambiato idea e si è mostrato favorevole a concedere la cittadinanza al ragazzo, fermo restando che è intenzionato a toglierla al criminale che ha sequestrato il bus.

La cittadinanza o non cittadinanza come premio o punizione?

Ora non voglio soffermarmi sulla considerazione per cui le scelte politiche, oggi, da parte del partito virtualmente di maggioranza nel Paese, siano condizionate da un software che analizza gli orientamenti degli utenti in rete. L’argomento meriterebbe un’analisi a sé. Voglio invece concentrarmi sull’aspetto oggi più rilevante: la cittadinanza è un interesse legittimo che rappresenta la fine di un iter amministrativo e l’inizio di un percorso composto da diritti e doveri oppure è un riconoscimento, dettato dalla generosità o voglia di punizione da parte di chi detiene la monarchia, che si toglie e si concede sulla base di un sentimento, di una reazione di pancia, di un subbuglio emotivo?

La cittadinanza presuppone un percorso certo, dettato dalla legge, oppure è la risultante di aspetti aleatori, tipici della monarchia assoluta, lasciati al caso e alla contingenza e decisa da un singolo o da una élite? Da queste domande discendono due considerazioni: la prima è che è legittimo riaprire il dibattito sullo ius soli. La seconda è che, qualunque scelta si faccia, dev’essere basata sulla certezza del diritto e riservata a tutti quelli che, indistintamente, posseggono i requisiti per accedere alla cittadinanza.

Indipendentemente da come si prospetterà la discussione sullo ius soli, è legittimo parlarne, purché la discussione politica presupponga l’applicazione concreta e reale dei principi su cui si fonda lo Stato di diritto: riconoscere la cittadinanza sulla base di norme certe e non sulla base del contingente e dell’alea. Sia chiaro: entrambe le posizioni politiche sono legittime: sia quella di chi sostiene lo ius soli (e lo ius culturae) sia quella di chi sostiene di mantenere l’attuale assetto basato sullo ius sanguinis. Decidere per l’una o l’altra via è una scelta politica, mentre non dev’essere una scelta politica quella di trascendere la legge per accontentare l’elettorato e rafforzare la propria posizione politica.

Il caso Marcello De Vito

Marcello De Vito monarchia

Il secondo fatto è relativo alla decisione di Luigi Di Maio di espellere dal M5S Marcello De Vito, dopo lo scandalo sulle tangenti per il nuovo stadio della Roma. Come tutti sappiamo, De Vito è stato uno dei primissimi esponenti del M5S, già candidato a sindaco di Roma e poi, dopo la vittoria di Virginia Raggi, divenuto Presidente del Consiglio comunale capitolino. Dalle intercettazioni, poi parzialmente diffuse sui giornali, si capisce che De Vito, approfittando di quella che chiamava una congiunzione astrale favorevole, abbia influenzato consiglio e alcuni assessori per favorire determinati soggetti, in cambio di tangenti, negli iter amministrativi relativi alla costruzione del nuovo stadio.

Non appena informato dell’inchiesta, Di Maio ha più volte e a gran voce dichiarato che De Vito è fuori dal Movimento, esattamente come se fosse in una monarchia. “Mi assumo io la responsabilità di questa decisione, come capo politico”, ha poi ribadito. A me, onestamente, questo atteggiamento spaventa assai. Non tanto perché Di Maio ha avuto due pesi e due misure (garantista con la Raggi, dopo l’indagine, ieri, spietato con De Vito, oggi), quanto perché con questa frase e con la decisione di cacciare via De Vito senza attendere l’esito del processo, palesa un’insofferenza nei confronti dei principi su cui si fonda uno Stato di diritto, tra cui il principio garantista (nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva di condanna). Sia chiaro, a casa sua decide come vuole, ma quest’atteggiamento, tipico di una monarchia, è tanto replicabile all’esterno quanto facilmente adottato all’interno.

Le regole e il garantismo

I più giovani di voi non ricorderanno come nel PC persino gli esponenti più scomodi, prima di essere espulsi dal partito, fossero soggetti ad un complesso sistema disciplinare interno, che coinvolgeva la sezione d’appartenenza e il comitato centrale, che prevedeva la possibilità di difendersi, di produrre documenti a favore, testimonianze, ecc. Persino i partiti più contemporanei, anche quelli populisti, si sono sempre mostrati garantisti nei confronti dei propri indagati. Ciò a buon motivo: il primo è che a volte la Magistratura non è stata esente da intromissioni politiche nei confronti dei partiti, il secondo è che spesso la sentenza definitiva ha smontato tutto l’impianto accusatorio della Procura.

E’ per questo e, più in generale, per il rispetto del principio garantista, che la legge prevede la presunzione d’innocenza. Ma si sa, in un clima politico e sociale dominato dal sentiment, questi principi sono anacronistici e quindi bisogna accontentare il proprio elettorato, salvare le apparenze e mostrarsi duri e puri nei confronti dei possibili attacchi da parte delle opposizioni. Tutto ciò, però, erode quei principi che sono a fondamento di uno Stato di diritto che Di Maio e Salvini hanno giurato di difendere, rispettare e applicare.

Questi due fatti (senza contare la questione Diciotti) sono sintomatici di una deriva autoritaria che il Paese sta prendendo. Ora bisogna capire se noi acconsentiamo a dirigerci verso una finta democrazia dalle tinte fosche tipiche di una monarchia o vogliamo preservare quello che i nostri nonni hanno creato col sangue: uno Stato in cui tutti siamo uguali davanti alla Legge e in cui prevale la Ragione, non il sentimento.

La Via della Seta ovvero pesce grande mangia pesce piccolo

xi jinping e mattarella via della seta

Senza retorica e con i piedi ben piantati nella realtà, posso affermare che oggi si sta decidendo il futuro del Mondo e i nuovi equilibri geo politici che, se mal gestiti, porteranno a squilibri i cui effetti si riverberanno nei prossimi secoli. L’Italia è debole se fa accordi da sola e rischia di diventare una … Leggi tutto

Il falso tira e molla sulla TAV

treno simpson tav

La discussione di questi giorni in merito alla TAV rappresenta, nella dialettica politica tra i due governanti / contendenti, un falso problema o, per dirla meglio, un’illusione demagogica.

In prim’ordine perché tutto è stato deciso, il progetto andrà avanti e questo lo sanno benissimo sia i leghisti che i pentastellati, in second’ordine perché ognuno di loro vuole mantenere illibata la sua immagine davanti all’elettorato e quindi il braccio di ferro tra Salvini e Di Maio va visto semplicemente in questa chiave di lettura: Il M5S salvi capre e cavoli, in vista delle elezioni europee. Perché questi continui battibecchi e il tentativo, da parte del Presidente Conte, di giungere in soccorso alla parte più debole del governo dimostrano un re-bilanciamento del peso politico, oggi tutto spostato a favore della Lega, nonché l’interesse a mostrarsi determinati a bloccare l’opera in un gioco di specchi riflessi, ma al cui interno si nascondono le vere intenzioni.

Tra l’altro la presa di posizione di Conte non è casuale né dettata da emotività, ma è un modo per abbagliare la discussione pubblica sul tema, accreditarsi presso l’elettorato grillino e mostrarsi all’opinione pubblica come puro e obiettivo sostenitore delle ragioni del M5S.

Al netto del fumo negli occhi gettato sull’opinione pubblica, quello che resta nella sostanza è la volontà ferma di realizzare l’opera, sia da parte di Salvini che da parte – ovviamente – dell’establishment europeo. Su questo non ci sono sovranismi che tengono.

Salvini, del resto, è un fermo sostenitore dell’opera poiché lui rappresenta gli interessi di quella borghesia industriale, tutta italiana, che vuole che la TAV sia realizzata per evidenti ragioni di profitto. Al di là dei costi di investimento, che ricadono sui conti pubblici europei, non vi sono dubbi che tutti i grossi imprenditori, italiani e non, sono concordi nel volere la TAV. Quindi a beneficiare dell’opera saranno gli agglomerati industriali europei, le grandi aziende, gli importatori e tutto quel tessuto economico che, per semplicità espositiva, chiameremo capitalisti.

Quest’aspetto va sottolineato per tutti coloro che ritengono Salvini un sovversivo dell’ordine europeo e un sovranista puro. Il sovranismo di Salvini non è altro che conservazione di un sistema economico-politico volto a tutelare gli interessi dei ceti più ricchi, una forma di reazione non tanto ai diktat europei, quanto alle classi più deboli della popolazione. Altrimenti non si spiegherebbe perché viene ben visto da Confindustria e da tutti i rappresentanti del capitalismo, non solo nostrano.

La sua lotta in Europa non è lotta per la sovranità del popolo italiano, ma una lotta tutta interna agli interessi capitalistici dei suoi più fermi alleati. In questo quadro va vista la sua battaglia a favore della TAV.

In altre parole Salvini non fa altro che conservare gli interessi di quei soggetti che vogliono abbattere i costi, velocizzare gli spostamenti di merci e aprirsi a nuovi mercati. Tutto bello, sì. Peccato che tutto ciò – come si è visto negli ultimi secoli – non avvantaggia l’economia reale, non incide sul benessere collettivo né migliora le condizioni di vita dei cittadini. Anzi, più il capitalismo matura, si coalizza, si internazionalizza, diventa tecnologico, tende a monopolizzare e a ridurre il liberismo e più aumentano le disparità sociali, le crisi economiche e la povertà di masse di persone.

Eppure quest’opera la paghiamo noi. Il grosso dell’investimento è sorretto dai bilanci europei, ossia da quelle somme che tutti gli anni gli Stati membri versano all’UE e che, ovviamente, derivano da imposte e tasse che noi paghiamo. Se poi inseriamo questo concetto nell’ordine di idee da cui nasce la flat tax, capiamo perfettamente che chi paga l’opera (e tutte le opere che verranno, oltre a tutte le politiche economiche che si faranno) non è l’imprenditore, ma il lavoratore, visto che il lavoro è maggiormente tassato rispetto al profitto. E poi pagheremo tutti, indistintamente, senza progressività, con l’IVA e con tutte quelle tasse che gravano sui consumi. Insomma, il sovranismo salviniano è sovranismo degli interessi economici della borghesia che lo appoggia, non del popolo grullo che lo acclama.

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Il progetto TAV

Il costo totale dell’opera è di 8,6 miliardi di euro e l’Europa, come detto, ne mette la maggior parte, mentre investe per circa il 40% sul tratto franco-italiano, ossia quello per cui oggi si sta tanto discutendo.

Quindi l’opera la paghiamo noi ma andrà a vantaggio dei grandi gruppi industriali e di quel tessuto economico-commerciale europeo e internazionale che vuole assolutamente ridurre i costi, aprirsi a nuovi mercati e far viaggiare le merci con più efficienza.

Ma guardiamo il lato positivo delle cose.

Il treno è solo un mezzo. Spostare merci velocemente e a minori costi e minor impatto ambientale è un bene, ma tutto ciò dipende da chi lo utilizza e con quali finalità. Dipende da chi produce quelle merci e a chi sono destinate.

Le infrastrutture sono utili, ma il fine a cui sono destinate può cambiare e può avvantaggiare determinate classi sociali. Il vero problema non è il mezzo, ma chi lo detiene. Del resto un ponte con un Paese straniero può essere usato per facilitare la guerra oppure per facilitare i rapporti tra esseri umani. Il mezzo è uno strumento, è il fine che lo rende utile o dannoso.

Certo allo stato attuale la TAV servirà gli interessi del capitale, ma non è detto che una futura (e possibile) classe dirigente interna o europea possa destinare l’infrastruttura ad altri e più proficui utilizzi. E poi, come ogni grande opera, ci sono gli elementi negativi (l’impatto ambientale, gli alti costi di realizzazione, ecc.) ma anche quelli positivi, come la limitazione del trasporto su gomma. Del resto anche il trasporto su gomma incide negativamente sull’impronta ambientale e non si può certo nascondere che il carburante consumato da circa 1 milione di tir all’anno che passa dalla val di Susa ingrossi comunque i fatturati delle compagnie petrolifere, oltre a creare caos, inquinamento, sfruttamento dei poveri autisti da parte di una miriade di padroncini e centellinati danni alle fragili infrastrutture della rete stradale e autostradale.

Insomma, ogni grande opera nasconde i suoi pro e contro. Ma va comunque evidenziato nuovamente che l’interesse attuale e cogente di Salvini e dell’Europa è quello di favorire gli interessi economico-finanziari del capitale, in un tira e molla tutto interno, senza dare alcun utile alle classi più svantaggiate.

Luigi di maio

Se il M5S vuole davvero rendersi utile alla causa e fare qualcosa di buono per il popolo, di cui oggi si sente portatore degli interessi e delle aspettative, non si limiti ad uno sterile NO all’opera che serve solo a tenersi buono l’elettorato più radicale, ma promuova una campagna volta a finanziare, in fase di realizzazione dell’opera, i territori coinvolti con parte dei fondi messi a disposizione per la TAV e li destini a misure di compensazione vincolate a progetti per le classi meno abbienti: fondi destinati all’istruzione, alla cultura, all’inclusione sociale, ecc. E s’impegni a costringere gli utilizzatori dell’opera a destinare parte dei ricavi ai territori e ai progetti sopra menzionati. In questo modo almeno si attenueranno le conseguenze e una parte dei profitti sarà redistribuita equamente tra chi l’opera la subisce e non ne trae alcun vantaggio. Almeno per ora.

La riorganizzazione del M5S non convince affatto

M5S balcone

In una recente intervista all’HuffPost, il capogruppo alla Camera del M5S Francesco d’Uva ritiene che uno dei problemi del M5S, che gli ha impedito di radicarsi nei territori, sta nel fatto che i Meet Up non sono mai stati riconosciuti dal Movimento e che invece andrebbero sostituiti con realtà riconosciute.

In altre parole stanno parlando di circoli, esattamente come fanno tutti gli altri partiti. Alla domanda se questa scelta poi non li renderà uguali agli altri, il d’Uva risponde che la loro diversità sta nel fatto che gli iscritti votano sulla piattaforma Rousseau. Questo, secondo loro, sarebbe più che sufficiente per renderli diversi dagli altri.

Ora non voglio soffermarmi molto sull’argomento dei circoli locali. Già in altri articoli ho parlato del tema e ho sempre sostenuto che qualsiasi soggetto politico, per potersi strutturare e progredire, deve necessariamente essere presente sui territori, attraverso strutture capillari, che si possono chiamare circoli, meet up, sezioni…non importa il nome, importa semmai un concetto molto più intimo ed essenziale: che queste realtà territoriali dettino la linea del partito (o del Movimento o come dir si voglia). Ma grande è la confusione sui cieli di Roma se i leader del M5S vogliono ristrutturare il movimento dando concretezza ai circoli ma lasciando che la linea politica si detti dall’alto, quando occorre e su una piattaforma privata, priva di garanzie e controlli.

Lasciando perdere quest’ultimo punto, l’aspetto preminente è che si dà ancora somma importanza allo strumento sottendendo che la linea politica sarà dettata come e quando serve al vertice, dunque secondo modalità proprie della democrazia rappresentativa di cui il M5S è sempre stato fermo detrattore, preferendo la democrazia diretta e partecipativa. Ma, amici miei, la democrazia diretta e partecipativa presuppone una dialettica libera, capillare e multiforme, che parta dal basso e che diventi sintesi grazie al contributo del vertice. Quando, invece, è il vertice a proporre i temi e gli iscritti si limitano a votare, questa è una forma di centralismo dittatoriale, mascherato da democrazia diretta, in cui l’opinione dell’iscritto è limitata ad un voto, non si manifesta in una discussione, in una tesi e nelle sue conseguenti antitesi e sintesi, non si sviluppa nell’analisi e nella conseguente decisione democratica. No, è solo un voto, un o un no, al massimo una scelta tra più opzioni.

Dunque, secondo questa visione del nuovo M5S, che si sta delineando in questi giorni, cambia la forma ma la sostanza resta immutata in quanto se si riconosceranno i circoli territoriali, questi non avranno la possibilità di esplicare il proprio contributo ma saranno – nella migliore delle ipotesi – centri di aggregazione, dispensatori di iniziative sul territorio, sedi fisiche dove ritrovarsi per parlare…tutte cose molto belle e utili, che però non cambiano la sostanza delle cose: la linea politica sarà sempre dettata dal vertice.

Questo perché?

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Perché il M5S nasce con un peccato originale, una deformazione mai curata che lo ha portato presto all’ascesa e ancor più presto alla sua (inevitabile) disfatta, una disfatta che potrebbe essere evitata se si operasse una discussione ampia e condivisa tra le anime del Movimento, ma che non ci sarà e quindi la disfatta sarà certa.

Il peccato originale è quello di essersi formato sui temi, di aver posto come dogma incrollabile il (falso) valore dell’onestà e di aver agito come movimento antisistema, come detrattore della casta e delle Istituzioni, sfruttando l’ondata di antipolitica che ha scosso l’Europa (e, direi, anche oltre) e raccogliendo presso di sé le istanze più disparate e antitetiche: da qui il consenso dei no-vax, dei complottisti, degli antieuropeisti e via dicendo. L’ascesa è stata rapida perché si è preferito costruire subito sulla sabbia piuttosto che lentamente su terre solide e, ovviamente, basta una piccola onda per buttare giù il castello di sabbia.

Senza un metodo dialettico, una visione d’insieme, un’analisi della storia, una capacità di disciplinare gli iscritti e di renderli coesi, senza un metodo di bottom-up e top-down, per cui il vertice istruisce la base e la base detta la linea politica al vertice, senza la formazione di una classe dirigente capace e consapevole del suo ruolo, i risultati del Movimento sono sotto gli occhi di tutti.

Inoltre, e concludo tornando nell’immanente, la scelta di governare a tutti i costi, anche a costo di essere subalterni ad un leader carismatico e capace sul piano politico, pur di occupare delle poltrone, ha fatto pagare un prezzo caro al Movimento. Come dimenticare quando, durante le consultazioni nel 2013, i grillini chiesero a Napolitano di governare da soli, senza numeri in Parlamento e con pochissima esperienza politica? Già allora scalpitavano per avere il potere.

Ma non è detto che il programma di un soggetto politico si debba realizzare necessariamente con il governo di una Nazione. Ci possono essere tante strade da seguire e anche dall’opposizione o al di fuori dei palazzi si possono ottenere risultati. Ma la necessità di governare, così sembra, non va di pari passo con la necessità di realizzare un obiettivo, bensì con la semplice e pura volontà di detenere il potere. Quand’è così la gente, anche quella più impreparata e incapace, se ne accorge, e agisce di conseguenza.