Che differenza c’è tra destra e sinistra oggi?

Renzi, Di Maio e Salvini destra e sinistra

La differenza tra destra e sinistra in Italia? Nessuna sul piano del reale. Alcune, ma solo sul piano dell’immagine.

Già dagli anni Settanta, con il progressivo imporsi nello Stato italiano (Stato da intendersi non in senso istituzionale ma come complesso di classi, ceti, Istituzioni, organizzazioni, mercato, ecc.) del capitalismo di stampo americano e della società dei consumi, anche grazie alla scelta politica del partito egemone, ossia la DC, di schierarsi con il Patto Atlantico, il PC ha dovuto giocoforza adattare la sua politica ai nuovi scenari. Così ha cercato di mantenere un precario equilibrio tra la fedeltà ad un partito che aveva adottato il modello del socialismo in una sola nazione, sciolto la III internazionale comunista, fatto fuori gli oppositori e instaurato un regime dispotico.

Chiaramente in questo quadro il PC italiano, consapevole del suo ruolo politico in Occidente, non avrebbe mai potuto appoggiare apertamente il regime sovietico e, a causa del proliferarsi al suo interno di correnti moderate e miglioriste (ossia quella che vedeva un adattamento dei principi socialisti e comunisti al capitalismo) cercò di adattarsi ai nuovi scenari, con l’obiettivo – dati i consensi ottenuti – di arrivare al governo.

Cosa che non accadde mai, nonostante il compromesso storico, a causa dell’uccisione di Aldo Moro, che aveva ormai messo a punto il compromesso per arrivare al governo con i comunisti.

Dagli anni Ottanta, soprattutto dopo la morte di Berlinguer, il PC non riuscendo mai a governare, nonostante lo storico (seppur momentaneo) superamento elettorale sulla DC, iniziò a frammentarsi fino alla fatidica svolta della bolognina nel 1990, quando l’allora segretario Achille Occhetto decise di concretizzare quella cosa di cui si parlava da tempo e aderire ai principi del capitalismo e del liberismo in chiave riformista. Fu quindi fondato il PDS (Partito dei democratici di sinistra) che, con D’Alema, divenne DS per poi arrivare, nel 2006, al PD, racchiudendo in sé anche pezzi di ex democristiani (Margherita, ecc.).

I liberisti sono di destra e sinistra!

romano prodi privatizzazioni

Tra l’avvento di Berlusconi (1994) e il suo decennio egemonico (2000-2010 circa, a parte un paio d’anni di governo Prodi dal 2006 al 2008), i DS hanno portato avanti una linea di smantellamento dello Stato sociale a tutto vantaggio del liberismo (ne ho parlato più diffusamente qui), attraverso le privatizzazioni, le liberalizzazioni (volute da D’Alema, Prodi e Bersani) e lo smantellamento delle tutele sul lavoro.

Prodi, D’Alema, Bersani che oggi vengono considerati di sinistra e quindi molti sostenitori del PD storcono il naso ad un loro possibile ingresso sono quelli che hanno privatizzato il paese, liberalizzato i servizi essenziali e fatto guerra all’ex Jugoslavia per fare un favore agli amici imperialisti. Cos’hanno di sinistra se rappresentano gli interessi dell’alta borghesia e del capitalismo e sono i naturali predecessori di Renzi?

Renzi e la destra e sinistra che si fondono

Renzi ha svolto la sua purificazione (o rottamazione, come lui la chiama) del PD solo per questioni di potere, dato che la sua politica è improntata all’ultraliberismo e, quindi, a fare favori ai rappresentanti dell’establishment europeo. Il jobs act è la prosecuzione di un programma, iniziato con Treu negli anni Novanta, per precarizzare sempre più il mondo del lavoro e consentire al capitale di accedere alla forza lavoro a costi più contenuti, di garantire la concorrenza al ribasso tra i lavoratori e di avere un ricambio della forza lavoro sempre maggiore. Il jobs act, unito ad una sempre maggiore debolezza del sindacato (che ha molte colpe, soprattutto nell’aver svenduto la classe lavoratrice per mantenere un brandello di potere) ha portato condizioni di vita peggiore alla classe lavoratrice.

La buona scuola è stato un progetto volto a ridurre sempre più i finanziamenti all’istruzione pubblica a vantaggio di quella privata. Non c’è molta differenza con le politiche del governo Berlusconi che, con le riforme Moratti e Gelmini, ha inteso destrutturare l’istruzione pubblica e rafforzare quella privata, sia nella scuola che nell’Università. La privatizzazione dell’istruzione di ogni ordine e grado, tipica di un sistema liberale e liberista, è un processo che si sta realizzando tutt’oggi e che ha coinvolto tutti i governi, da destra a sinistra.

Il ruolo del Parlamento

parlamento

Il parlamento ha la funzione di discutere le leggi e di dettare la linea politica che il Governo ha l’obbligo di realizzare. Più è ampio il Parlamento, più è rappresentativo dell’elettorato e più, in teoria, questa funzione può essere esplicata e i provvedimenti normativi sono adottati nell’interesse della Nazione. Ma se il Parlamento viene esautorato della sua funzione, il ruolo di scrivere le leggi e di adottarle nell’interesse della Nazione chi ce l’ha? Dal Governo Berlusconi ad oggi stiamo assistendo ad una costante e continua azione di esautoramento del Parlamento, il quale oggi è svuotato della sua intima funzione e fa solo da passacarte. Due sono gli strumenti più lampanti:

1. Lo strumento della fiducia. In questo modo il Governo chiede al Parlamento di votare in blocco un provvedimento, senza discussione, senza emendamenti. E’ chiaro che con un Parlamento a vocazione maggioritaria e deframmentato è più facile far passare provvedimenti senza discussioni, senza emendamenti (che, in teoria, servono a migliorare il testo), senza, cioè, far decidere ad una platea ampia e rappresentativa dell’elettorato.

2. Lo strumento della decretazione d’urgenza. I Decreti Legge sono uno strumento che consentono al Governo di adottare provvedimenti urgenti, ma in questi ultimi decenni sono stati massicciamente utilizzati per tutto: finanza, istruzione, lavoro, infrastrutture, ecc., perché consentono l’immediata efficacia ed una successiva ratifica da parte del Parlamento, il quale, di fatto, non fa altro che prendere atto di quanto deciso dal Governo.

Queste tecniche parlamentari unite al tentativo di riforma della legge elettorale e della riduzione del numero dei parlamentari serve a dare maggiore potere al Governo ed eliminare le minoranze scomode.

Destra e sinistra d’accordo per ridurre la rappresentatività popolare

Dunque i tentativi di ridurre il numero dei parlamentari e le leggi elettorali di stampo maggioritario sono esattamente funzionali a quest’obiettivo: rendere inutile il Parlamento, ridurre il numero dei parlamentari, sbarrare l’accesso alle minoranze fastidiose e rendere la maggioranza conforme alla volontà del Governo e, quindi, ai veri sostenitori di destra e sinistra liberisti: le lobby economiche.

La seconda Repubblica, iniziata dopo il crollo della DC e l’ascesa dei partiti populisti (Berlusconi è il padre di tutti i partiti populisti, M5S incluso) è caratterizzata proprio da questa funzione: aumentare il potere del Governo e ridurre il potere del Parlamento, svuotando di fatto il dettato costituzionale che vuole la centralità del Parlamento. Ecco perché Renzi ha voluto la riforma costituzionale, per sacralizzare nel testo una situazione di fatto. Ecco perché oggi il M5S vuole ridurre il numero dei parlamentari: con la scusa che così si risparmia (ma ignorando le spese pazze dei suoi parlamentari), vuole portare a compimento un percorso iniziato con Berlusconi e portato avanti da Renzi.

Il maggioritario unisce destra e sinistra. Altro che proporzionale!

Non appena terminate le elezioni europee, nel caso in cui il Governo dovesse reggere alle elezioni e dopo che il M5S avrà realizzato pienamente qual è la sua forza elettorale, si tornerà a parlare di legge elettorale e scoprirete il vero volto del M5S, che si è sempre detto favorevole al proporzionale, ma cambierà idea, coerentemente con la scelta di ridurre il numero dei parlamentari e di accentrare i processi decisionali nelle mani di pochi (e quei pochi, si sa, sono controllati da un soggetto economico, privato, inserito a pieno titolo nel sistema liberista e capitalista).

Reddito di cittadinanza e salario minimo, due cose che non cambiano la sostanza

Il reddito di cittadinanza è un contentino elettorale che non influisce sul mercato del lavoro e che grava su di esso (viene preso dai redditi dei lavoratori e dal debito pubblico), inoltre piace molto ai fautori della società dei consumi.

L’attuale “battaglia” sul salario minimo è anch’essa un contentino elettorale che però porterà i datori di lavoro ad aumentare il numero di ore di lavoro, diminuire il numero di lavoratori oppure optare per forme di lavoro più flessibili (contratti a tempo determinato, false P.IVA, ecc.).

Già da queste brevi informazioni si può capire che oggi tra Destra e Sinistra (di centro, chiaramente), Lega, M5S (e altri) non c’è alcuna differenza, se non nei toni utilizzati o in sporadici e singoli temi trattati, che però non influenzano minimamente le linee politiche dei rispettivi partiti volte a mantenere lo status quo e impedire ai ceti più poveri della popolazione di progredire.

Sabotare i lavoratori per mantenere lo status quo

La crisi economica del 2007 (che si ripeterà a breve) ha mostrato tutte le debolezze del sistema capitalista attuale, oggi accentrato nelle mani di pochi e che si mantiene vivo grazie alla speculazione finanziaria, che, estremizzata al massimo profitto, ha portato alla crisi economica. Gli scenari futuri, anche considerando il ruolo che la Cina sta giocando nel complesso scacchiere geo-politico, ci riserveranno nuove crisi economiche in quanto l’attuale assetto capitalista non è minimamente scalfito.

Il ruolo dei partiti politici in Italia è stato lineare e trasversale tra essi, ossia quello di sostenere l’alta borghesia a tutto svantaggio delle classi lavoratrici, non solo di quella operaia, ma anche di tutti quei piccoli imprenditori, quelle micro imprese, quei professionisti che oggi soffrono per l’eccesso di offerta, la concorrenza spietata dei grandi gruppi di capitali e per l’erosione del potere d’acquisto, per cui il mercato viene sbarrato e ci si deve accontentare delle briciole.

Iniquità fiscale

Sappiamo tutti quanti che la pressione fiscale in Italia rende difficile ad una micro impresa di crescere. Chiunque, oggi, si immette nel mercato con una propria idea, soprattutto sul web, si trova davanti gli sbarramenti di tasse e imposte, mancanza di infrastrutture (specie al Sud), concorrenza sleale dei big della rete, ecc.

Nonostante la Lega abbia fatto suo il cavallo di battaglia della flat tax, ingraziandosi numerosi piccoli imprenditori e professionisti, questo provvedimento va a tutto vantaggio dell’alta borghesia, ossia di quegli imprenditori e professionisti che guadagnano molto e investono poco, preferendo invece speculare i propri profitti.

Contrariamente a quanto sostiene la Lega, i risparmi derivanti dalla flat tax per le grandi imprese (e i grandi professionisti) non saranno mai reinvestiti per la crescita o per l’occupazione, anzi, saranno investiti in attività speculative.

Quest’ottimo servizio di Milena Gabanelli dimostra, numeri alla mano, quanto la flat tax sia iniqua, soprattutto per i piccoli. Personalmente lo so benissimo, essendo una P.IVA, che la flat tax mi avrebbe penalizzato e infatti non vi ho aderito, nonostante faccia redditi da fame.

L’iniquità fiscale tra piccoli e grandi

Se salto una rata dei contribuiti INPS o un pagamento IVA, lo Stato attende un certo numero di anni (max 5, per evitare la prescrizione) affinché aumentino gli interessi e, con le sanzioni, la mia rata o il mio pagamento raddoppia o triplica. Così vengo strozzato e indotto al fallimento. E poi, per ripagare i debiti fiscali, dovrò accedere al credito, ipotecare la casa e, quando sarò entrato nel vortice del debito, perderò tutto. E’ accaduto così tante volte che è inutile stare qui ad approfondire.

Questa cosa, però, non accade con i big.

Amazon

Amazon realizza utili per 11,2 miliardi di dollari (e un fatturato di 233 miliardi di dollari), ma negli USA non paga un centesimo di tasse.

Dopo una lunga indagine della GdF, dal 2011 al 2015, si è scoperto che Amazon non avrebbe versato un centesimo di tasse nemmeno in Italia, avendo preferito spostare gli utili in Lussemburgo, dove vige una tassazione più favorevole, nonostante avesse in Italia “una stabile organizzazione” che, per il fisco italiano, è sufficiente affinché l’azienda paghi le tasse nel bel paese.

Non sappiamo quanto guadagna Amazon in Italia, perché i suoi fatturati in molti paesi europei sono segreti, ma sappiamo che la sua strategia è quella di aggredire il mercato europeo, operando in perdita, per eliminare ogni forma di concorrenza sia sul web che dei negozi tradizionali, forte dei continui finanziamenti da parte dei suoi azionisti, e sappiamo che nel periodo 2016-2018 il fatturato è aumentato del 71,26% (v. qui), eppure in Italia, dopo il controllo da parte della Finanza, pagherà all’Agenzia delle Entrate solo 100 milioni di euro per gli anni 2011-2015 (ossia 2,5 milioni ad anno, a fronte di un fatturato globale che arriva a 233 miliardi. Fate le giuste proporzioni).

Google

Anche Google ha fatto un accordo accomodante con il fisco italiano. A fronte di un fatturato globale di 67,6 miliardi di dollari nel 2015 (saliti a 82 miliardi nel 2016) pagherà in Italia appena 306 milioni di euro, dopo anni di contenziosi. Anche Google, forte del fatto di avere la sede legale europea in Irlanda (dove la fiscalità è esigua) e forte di essere una multinazionale del web, non ha mai pagato un centesimo di tasse in Italia, dove però offre i suoi servizi di pubblicità e dove, quindi, ha un mercato stabile. Eppure è arrivata ad un accordo che le ha consentito forti risparmi fiscali rispetto alla totalità delle aziende che operano e hanno la sede fisica in Italia.

Apple

Apple è stato il primo big a giungere ad un accordo col Fisco italiano. Nel 2015 ha pagato 318 milioni di euro per sanare una evasione fiscale di 5 anni che sfiora il miliardo di euro.
Apple è quella che ha pagato di più, ma per un semplice motivo: ha numerosissime attività commerciali fisiche nel territorio italiano, a differenza di Amazon che ha solo uno stabilimento a Castel San Giovanni e Google che ha una sola sede in Italia (a Milano).

I colossi pagano piccolissime somme (che arrivano, solo nel caso di Apple, a circa il 30%) per sanare le loro posizioni con il fisco mentre i professionisti, le PMI, le micro imprese e i lavoratori arrivano a pagare oltre il 70% tra fiscalità diretta e indiretta, senza contare i contenziosi e l’enorme burocrazia che blocca gli investimenti.

Favorire i grandi, penalizzare i piccoli

Ogni governo che si è succeduto in questi anni ha adottato la medesima politica di favore nei confronti dei big e non ha mai messo mano né alla fiscalità né al mercato del lavoro per correggere le numerose storture che coinvolgono sia gli imprenditori che i lavoratori.

In conclusione, per sintetizzare quanto detto finora, ritengo che la discussione tra destra e sinistra, oggi, in Italia, sia solo un mero esercizio stilistico, sia formalismo linguistico che non trova alcuna corrispondenza con la realtà.

Tutti, da destra a sinistra, sono rappresentanti di poteri forti (attenzione a non fraintendere e considerare quest’espressione di mero complottismo. Tutt’altro), solo di diversa natura: se il PD è naturalmente orientato a preservare i rapporti con l’establishment europeo, mentre il M5S cerca altri “padroni”, la Lega è orientata a rappresentare l’alta borghesia interna. Ma si tratta sempre di poteri, più o meno forti, che però sono accomunati da un unico intento: preservare il capitale, gli interessi economici, i rapporti di forza nel mercato.

Mercato e profitto

Nel mercato, si sa, si fa tutto secondo la logica del profitto: ci si scambia favori, ci si fonde, si fa concorrenza, si creano e disfano alleanze, sempre in nome del denaro. E in questi giochi la politica italiana fa gli interessi del mercato, non della Nazione. In altre parole, se Confindustria si schiererà con i cinesi, anche la Lega sarà a favore della Via della Seta (qui un approfondimento sul tema), così come il PD cambierà padrone se l’Europa e la BCE dovessero crollare nei nuovi rapporti di forza che s’ingenereranno tra Occidente e Oriente.

Detto in estrema sintesi: la politica di oggi è lo specchio del mercato, non del popolo. Il concetto di popolo è solo uno specchietto per le allodole per confondere le acque, convincere la gente che l’interclassismo ha sostituito il conflitto tra le classi e tenersi buoni gli strati più umili della popolazione, quelli che si sentono oggi rappresentati principalmente da Lega e M5S ma che da loro prendono solo calci nel sedere.

Destra e sinistra?

Se vogliamo invertire la rotta e ridare dignità a chi lavora, a chi è sfruttato (siano essi lavoratori, imprenditori, giovani professionisti, P.IVA, ecc.) bisogna lasciar perdere la diatriba tra destra e sinistra e ricostruire un socialismo di fatto che parta dagli ultimi, dai territori e che disegni un manifesto politico in grado di scalfire un sistema capitalistico ormai allo sbando, che si sta mostrando sempre più aggressivo e sempre più squilibrato (alla prossima crisi, imminente, mi darete ragione). Un soggetto che faccia comprendere la realtà nella sua razionalità, nella sua necessità, ovvero in modo scientifico e crei concetti e azioni che possano razionalizzare l’esistente. Pare difficile, ma non lo è. Lo sarà quando tutte quelle persone “di buona volontà”, anziché farsi la guerra sui particolari, metteranno insieme le proprie forze per un obiettivo unico. Stoico, se vogliamo, ma non impossibile.

Da Occhetto a Pisapia: la Cosa ritorna.

occhetto dalema pisapia la Cosa

I più “vecchi” di voi si ricorderanno di un certo Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito Comunista, che ha “guidato” la caduta del partito a seguito della caduta del muro di Berlino e del definitivo disfacimento del totalitarismo comunista nei Paesi dell’Est Europa. Ricorderete anche la svolta verso un “comunismo moderno” che Occhetto volle dare, sin dalla caduta del PC, parlando di una cosa.

Ma che cosa? Probabilmente nemmeno lui lo sapeva, ma sta di fatto che presto sarebbe diventata tanto brutta quanto la vespa che la Piaggio realizzò proprio in quegli anni e che chiamò, appunto, “cosa”.

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Vespa Cosa (museopiaggio.it)

La “cosa” è stata l’oggetto di una lunga discussione politica in seno al partito che avrebbe portato, di lì a poco, alla fondazione di un nuovo soggetto politico: Il PDS (Partito Democratico della Sinistra), un partito chiaramente confuso, senza più appigli ideologici e senza un chiaro linguaggio politico, tanto che di lì a poco, nel giro di 10 anni, si passò dal PDS ai DS (Democratici di sinistra), anche grazie all’intervento di un rampante Massimo D’Alema e poi, pochi anni dopo, nel 2006, dai DS all’attuale Partito Democratico.

Inutile dire che la frammentazione del PC comportò la nascita di tanti soggetti politici di sinistra (come Rifondazione o Comunisti italiani) che, negli anni, a volte appoggeranno i vari governi di centro-sinistra, a volte contribuiranno a farli cadere, a volte, pur essendo al governo, manifesteranno in piazza…contro loro stessi!

Insomma, è chiaro che in 30 anni la sinistra ha cambiato varie forme ma la sostanza è rimasta pressoché la stessa, ossia grande confusione e incapacità di riflettere sui cambiamenti sociali, politici, economici e geo-politici internazionali e incapacità di elaborare un nuovo linguaggio di sinistra, basato su nuove esigenze, nuove problematiche da affrontare, però, con i solidi princìpi della sinistra: tutela delle fasce deboli della popolazione, anti-capitalismo e superamento della concezione privatistica dei beni comuni, socialismo applicato, uguaglianza sostanziale, potenziamento e crescita dell’istruzione e del sapere collettivo, in modo da creare una società coesa, consapevole e “libera”, oltre al superamento dei privilegi di classe (di casta o di lobby).

Diciamo la verità, i dirigenti del PC dei primi anni Novanta hanno voluto chiaramente aderire al sistema capitalista, rinnegando completamente il passato e spingendo l’Italia verso un modello liberale, cioè quel modello che oggi ha rappresentato la prima grande causa dell’attuale crisi economica, che ci porteremo dietro per numerosi decenni.

E’ vero che la storia ci ha traghettati verso il rinnegamento dei regimi totalitaristici, ed è stato giusto e storicamente coerente chiudere con l’esperienza del PC, ma da allora ad oggi mai nessuno ha voluto interrogarsi sull’applicazione dei valori della sinistra nelle esigenze moderne e sull’uso di metodologie e linguaggi moderni.

E’ stato più facile, da parte dei dirigenti del PC, abiurare il passato e abbracciare il modello capitalista, come ha subito fatto Achille Occhetto, quando è andato negli USA a dichiarare di essere contrario al regime comunista cinese o quando ha incontrato Lech Walesa, allora leader dell’opposizione polacca al regime comunista, dicendosi vicino alle sue posizioni.

Negli anni, poi, la dicotomia sinistra/liberismo ha prodotto frutti nocivi, se pensiamo alle privatizzazioni approntate dal duo Prodi/D’Alema, alla destrutturazione dello Stato sociale e alle sempre più pressanti spinte alla precarizzazione nel mondo del lavoro, tutto nel nome di un liberismo spinto, peggiore di quello inglese, che ha portato la gente a non avere più tutele quando è scoppiata la crisi economica e ad estremizzare il disagio sociale verso l’odio razziale, l’antipolitica e l’appoggio a ideologie estremiste e populiste.

Si ripete lo stesso errore: La cosa del 2017, ossia Art. 1 MDP

Ed eccoci ai giorni nostri. E’ ormai evidente che il PD, con Prodi, D’Alema, Rutelli, Veltroni, le anime “bianche” del centro e del centro (centro) sinistra, i liberali, gli ex comunisti pentiti, i cattolici e i catto-centro-comunisti, le lobby, gli affaristi, i banchieri, Confindustria e persino con amministratori locali in odor di mafia, è un partito talmente eterogeneo, frammentato, affaricentrico e incapace di discutere che, giocoforza, viene governato in modo centralizzato e con un occhio di riguardo verso le lobby.

Bastano poche prezzolate persone per imporre una linea di pensiero e di intervento, alla faccia della discussione, della base e della sintesi politica. E oggi quelle poche persone (Renzi e il suo entourage) stanno traghettando il PD verso un liberismo malato, un populismo spiccio (con contorni di putrido nazionalismo) e un notevole servilismo europeista. In questo quadro appare ovvio che molte anime “di sinistra”, incapaci di cambiare il partito dall’interno, vogliano fuoriuscirne e formare un nuovo soggetto politico. Bene.

Peccato che però, come al solito, non si impara mai dagli errori. Il buon Pisapia, che ritengo una persona valida, sta però percorrendo gli stessi passi dei suoi predecessori di quasi 30 anni fa: creare un soggetto politico con dirigenti liberisti e che si sono dimostrati incapaci di disegnare un modello nuovo di sinistra (Prodi, D’Alema, persino Bersani, che si stupisce che non avvenga un nuovo ’68. Quasi mi fa tenerezza la sua incapacità di analizzare la realtà…) e tentare di costituire un soggetto ampio, capace di “dialogare con il PD”, in cui tutti sono benvenuti, persino Renzi.

Dunque torniamo alla cosa, un elemento ibrido, informe, privo di valori fondanti in cui riconoscersi, privo di capacità di analisi politica, privo persino di contenuti, ma “aperto” a tutti. Da questo modello politico cosa può nascere? Un nuovo fallimento, chiaro.

Sembra quasi che a questa gente importi più riempire le piazze, darsi un colore nuovo (questa volta è l’arancione…anzi, un rosso sbiadito…) ma evitare qualsiasi forma di analisi, di discussione, di un seppur minimo sforzo teso a riscrivere il linguaggio della sinistra e il suo relativo vocabolario, un vocabolario che la “base” possa comprendere, assimilare e in cui possa riconoscersi e che possa rappresentare il primo – minimo – passo verso il riavvicinamento della gente alla politica, ormai priva di punti di riferimento.

E’ ovvio che senza queste operazioni (complesse, sì, ma necessarie) avremo una maggior recrudescenza degli estremismi e, a livello elettorale, il M5S rappresenterà per la gente l’unica valida alternativa alla sinistra, che di “sinistra” non ha più nemmeno il colore. E allora che si faccia questo gesto di coraggio: si crei un nuovo soggetto politico, con facce nuove e competenze valide, e si prenda anche qualche anno per discutere e analizzare la realtà, non si faccia il solito errore di correre subito alle elezioni, perché sennò torneremo di nuovo all’orrida cosa.